Quando, nel 1969, i vertici Volkswagen permisero la fusione tra l'Audi (allora ancora Auto Union) e la moribonda NSU, è probabile che non previdero minimamente il salto di qualità che, in trent'anni, avrebbe interessato la fabbrica di Neckarsulm, che oggi dà i natali a due gioielli di tecnologia: la Audi A2 e A8. E' più probabile che, nelle menti degli alti dirigenti di Wolfsburg, al momento della sottoscrizione dell'accordo, circolasse un pensiero del tipo "abbiamo acquisito uno stabilimento a prezzo da saldo: è un buon affare!".

Prima di arrivare alla produzione di A2 e A8; Volkswagen, Audi e NSU, ne hanno fatta di strada... anzi... le prime due ne hanno fatta sicuramente, la terza si è fermata al 1977, dopo che l'esperimento della prestigiosa "Ro 80" (non mi spiego ancora come diavolo abbiano fatto a dare ad un'auto un nome simile...), fallimentare sotto il profilo commerciale e dell'affidabilità, minasse definitivamente all'immagine del marchio.

Il primo passo che avrebbe dovuto condurre la Volkswagen verso "lidi più sicuri" fu la decisione variare la produzione. Infatti, nel 1969 la casa di Wolfsburg produceva solo il Maggiolino (nella sue varianti berlina e cabrio), il Combi (la versione furgone del Maggiolino) e alcune berline, meccanicamente sempre derivate dal Maggiolino, motorizzate con una versione maggiorata del boxer e di scarso successo come la sportiva Karmann - Ghia (con una splendida versione cabriolet), e le improponibili 411 e 1600 TL. Insomma, si doveva a tutti i costi cambiare aria indirizzando la produzione verso soluzioni più moderne ed efficienti.

Il "buon affare" (che poi non si rivelerà tale...) fatto con la NSU, permise alla Volkswagen di avere a disposizione due berline, di caratura progettuale non indifferente, "chiavi in mano". La prima era l'innominabile Ro 80 a motore Wankel, che era in produzione già da un anno ma che... come dire... non convinse a pieno (fortunatamente...) gli uomini Vw. Effettivamente, anche solo guardandola, non è che se ne rimanga affascinati...

Quindi, scartata l'ipotesi Ro 80 (che, va riconosciuto, sotto il profilo puramente teorico e progettuale, vantava una notevole validità), l'attenzione della Volkswagen si posò su un progetto, giunto a compimento, di una berlina di classe media (da anteporre, alla Renault 16 o alla Fiat 125), con motore e trazione anteriori e spinta da un tranquillo motore di 1600 cc.

Fu la "prima volta" della Volkswagen!

Immediatamente da Wolfsburg giunsero i fondi e gli uomini necessari al completamento, nel minor tempo possibile, delle ultime fasi progettuali: l'auto era già pronta come prototipo NSU dal 1967. Nel 1969 i primi prototipi definitivi furono presentati alla stampa e, nel '70, iniziò la produzione. Il nome prescelto fu K70 (l'ermetismo della denominazione deriva, probabilmente, dall'utilizzo della sigla di progetto).

Meccanicamente era presente un motore 4 cilindri raffreddato a liquido da 1.605 cc montato longitudinalmente e dotato di due livelli di potenza: 75 e 90 cv, valori notevolissimi per l'epoca, capaci di spingere la vettura ad oltre 165 km/h. La trazione era anteriore, altra "chicca" per il periodo, con cambio a quattro rapporti più retro.

La vettura presentava un'impostazione estetica ispirata a quella della Ro 80, sicuramente meno originale ma molto più rassicurante rispetto alla NSU.

Il frontale era molto basso ed affilato, in linea con le tendenze del decennio che si apprestava a nascere, e presentava il marchio Vw inglobato in un'austera calandra di plastica nera, con un solo profilo cromato orizzontale disposto centralmente. I fari erano di foggia rettangolare. L'intero complesso frontale era, infine, rifinito da tre piccoli profili cromati (due laterali ed uno superiore) che, con il paraurti a lama, chiudevano visivamente il tutto. Da qualsiasi punto si osservi la vettura, emerge con prepotenza la rilevante altezza del padiglione, rispetto alla cintura molto bassa.

Le similitudini con la Ro 80 si evidenziano nella vista laterale, dove le estremità affilate, la linea di cintura bassa, il padiglione ampio e luminoso grazie alle ampie luci (3 per ogni lato), richiamano l'impostazione della grossa vettura a motore rotativo. Per fortuna che, le dimensioni più contenute e la semplicità delle linee (contro l'estetica piuttosto "tormentata" del modello NSU), contribuirono a fare della K70 la versione riveduta, corretta e (realativamente) equilibrata della Ro 80.

Lo specchio di coda è disarmante per semplicità: non c'è niente all'infuori del necessario: strettissimi profili cromati, una sigla leggermente stilizzata (anch'essa cromata) e due gruppi ottici dotati di luce di retromarcia.

Proprio quest'ultima dotazione (la luce di retromarcia), era uno dei tanti piccoli "plus" che caratterizzavano la dotazione della K70. Infatti la Volkswagen, per emergere in un segmento di mercato nel quale era praticamente sconosciuta, puntò moltissimo sull'accuratezza delle rifiniture e sulla completezza della dotazione di serie, caratterizzata da tante piccole "attenzioni" che rendevano molto piacevole la permanenza in auto.

Aprendo la portiera, il design accuratissimo del pannello di rivestimento porta invitava ad accomodarsi in un abitacolo rifinito con rivestimenti di qualità, oltre che dal pregevole effetto estetico. Ma ciò che realmente stupisce, ovviamente confrontato con la concorrenza contemporanea, è l'impostazione modernissima della plancia che ritroveremo solo in modelli successivi di almeno cinque anni, come l'Opel Ascona B del 1976.

Il cruscotto ha un profilo arrotondato e, cosa realmente innovativa per l'epoca, presenta un impianto di ventilazione curatissimo con due bocchette rotonde alle estremità, feritoie per lo sbrinamento del parabrezza e per inviare aria alla parte bassa dell'abitacolo e due bocchette centrali, rettangolari e regolabili in ogni posizione, a centro plancia. Praticamente un sistema di ventilazione da "anni '80".

La strumentazione, anch'essa curatissima, è a quattro elementi circolari: tachimetro, contagiri con fondo a 8000 rpm, orologio, indicatore del livello del carburante ed una batteria non indifferente di spie di controllo, tutte caratterizzate da ideogrammi in luogo delle segnalazioni impresse a lettere. Notevole anche la pulsantiera a sinistra del volante, realizzata ergonomicamente, raggruppante i pulsanti di comando dei gruppi ottici e del lampeggio d'emergenza (altro equipaggiamento d'avanguardia) oltre che quello del lunotto termico. Il volante a tre razze, decisamente brutto, era l'unica nota stonata in un abitacolo ben realizzato.

L'unico aggiornamento del modello avvenne nel 1973, con la presentazione del modello LS di 1.807 cc, con 100 cv. Nessun aggiornamento estetico di rilievo, ad esclusione dell'adozione, anteriormente, di una coppia di antinebbia e di quattro fari tondi in luogo di quelli rettangolari. All'interno il brutto volante a tre razze fu sostituito con un più adeguato modello a quattro razze.

Le tantissime qualità della K70, non permisero, però, alla Volkswagen di emergere nel segmento superiore: mancava l'immagine del marchio. La vettura non decollò mai, pur essendo esportata in tutta Europa e per smerciarla la casa tedesca fu obbligata a venderla sotto costo. Così, fino al 1975 di K70 se ne produssero, in perdita, circa 200.000, sufficienti insieme ai problemi finanziari della NSU (che quindi, non fu propriamente un "buon affere"), a gettare la Volkswagen sul lastrico.

Situazione dalla quale solo il "miracolo Golf" riuscirà a salvarla.... Ma questa è un'altra storia.

Fotogallery: Volkswagen K70