Nel 1979 il giornalista americano Bob Hall si reca al quartier generale della Mazda per intervistare Kenichi Yamamoto, presidente del marchio fondato nel 1920 da Jujiro Matsuda. I due si conoscono da tempo e si stimano. La conversazione è amichevole e lascia spazio a confidenze e a un vivace scambio di idee con i ruoli che a tratti si invertono. Capita allora che il numero uno dell'azienda giapponese domandi al reporter quale modello manca nella gamma Mazda. La risposta è decisa: una sportiva più a buon mercato della RX-7 che ricordi le spider inglesi e italiane degli anni '50 e '60, come le Triumph Spitfire o l'Alfa Romeo Giulietta, che stanno scomparendo dal mercato. La proposta non dispiace a Yamamoto che valuta l'ipotesi di una roadster economica in linea con la filosofia aziendale di portare "nuova luce nel mondo dell'automobile". Una dottrina perseguita fino dalla scelta del nome del marchio, derivato dall'assonanza tra il cognome del fondatore e la divinità della luce del zoroastrismo, antica religione fondata in Persia nel VI secolo a.C., Ahura Mazda.

NASCE IL PROGETTO P729

L'idea di una "spiderina" leggera ed economica rimane nella mente di Yamamoto che, forse ispirato dal motto della religione del Mazdaismo "buoni pensieri, buone parole, buone opere", nel 1981 chiama Bob Hall a lavorare al Mana, il Centro Stile di Mazda in Nord America. Dove l'ex giornalista comincia a diffondere la sua visione trovando terreno fertile tra i colleghi. A dare maggiore vigore alla voglia di una roadster è l'indagine di mercato condotta negli Stati Uniti l'anno successivo sulle caratteristiche che dovrebbe avere un nuovo modello sportivo. L'esito è chiaro: una spider maneggevole, divertente da guidare e che non costi troppo. A convincere in modo definitivo Yamamoto è una prova su strada al volante di una Triumph Spitfire, terminata la quale il presidente di Mazda decide di dare il via ufficiale al progetto P729.

DUO 101, LA MAQUETTE VINCENTE

Per lo sviluppo delle futura spider Yamamoto decide di mettere in competizione il Centro Stile di Tokyo con quello americano di Irvine. Una lotta che dà origine a due prototipi ma che, per la verità, si trasforma presto in collaborazione con i piani della roadster che viaggiano di frequente tra il Sol Levante e il Nuovo Continente. Dopo due anni di intenso lavoro a prevalere è il gruppo di giovani ingegneri impegnato negli Stati Uniti nello sviluppo dei programmi "off line", quelli dei modelli inediti alla gamma in commercio. A guidarlo è Masakatsu Kato, valido tecnico malgrado i pochi anni di esperienza, che si butta con passione nel progetto della nuova LWS (lightweigt sportcar, la sportiva leggera). E insieme a Tom Matano, Koichi Hayashi, Mark Jordan e Wu-Huang Chin realizza la maquette "vincente", quella battezzata con il nome di Duo 101 per via della doppia configurazione: normale spider o moderna coupé con l'applicazione di un tettuccio rigido interscambiabile con quello morbido. Approvato pure lo schema meccanico che riprende l'impostazione classica delle sportive del passato: motore anteriore e trazione posteriore per avere un'ottimale distribuzione dei pesi ed esaltare il piacere di guida.

IL PROTOTIPO V705

Dalla maquette al prototipo marciante il passo è breve. In pochi mesi Mazda realizza una concept in collaborazione con la società inglese IAD, l'International Automotive Design, e a settembre la V705, come è denominata, è già al collaudo sul circuito prove. Con qualche uscita per le strade di Santa Barbara per testare le reazioni delle persone alla vista dell'oggetto sconosciuto. Il riscontro è positivo e la decisione di procedere con l'industrializzazione del progetto è ormai definitiva. Non rimane che proseguire nelle ricerche per contenere al minimo in costi, esigenza che costringe i tecnici a tralasciare soluzioni sofisticare, come il motore rotativo Wankel, che avrebbero fatto lievitare il prezzo del modello. Nonostante qualche rinuncia, i giovani ingegneri perseverano a inseguire l'altro punto fermo del vettura: l'auto deve essere maneggevole, leggera e divertente da condurre. Per farlo prendono parti meccaniche esistenti e le migliorano con soluzioni innovative, come quella di avvolgere l'albero di trasmissione con una struttura in alluminio, il Power Plant Frame (PPF), capace di incrementare la rigidità strutturale della scocca.

LE VETTURE PRE SERIE

Alla fine del 1986 la fase di sperimentazione è giunta quasi al termine e la versione finale della futura spider è praticamente definita. Una due posti secchi con massa inferiore alla tonnellata, trazione posteriore e un 4 cilindri DOHC 16V da 1.597 cc e 116 CV capace di accelerare da 0 a 100 km/h in 8,7" e di raggiungere i 188 km/h. Ma Yamamoto vuole la perfezione. Progetti e prototipi emigrano in Giappone per lavorare sugli ultimi dettagli. Il reparto di design con a capo Shunji Tanaka apporta modifiche per contenere i pesi, riduce il passo di 13 mm, abbassa l'assetto di 35 mm, riduce l'altezza del cofano e inserisce nel bagaglio una piccola batteria di tipo motociclistico. Così affinata la concept torna negli Stati Uniti dove nel 1988 inizia la produzione a mano delle prime dodici vetture pre-serie, numerate con le sigle che vanno da S1-1 a S1-12. Ormai è quasi tutto pronto e viene confermata data e location per la presentazione ufficiale: il 10 febbraio 1989 al Salone dell'Auto di Chicago. Ma manca ancora un particolare: il nome.

TRE NOMI PER UNA SPIDER

Negli anni Ottanta Mazda ha presentato diversi prototipi alle esposizioni internazionali di auto contraddistinti da sigle progressive che vanno da MX-01 a MX-04. Per la nuova roadster è destinata, quindi, la "firma" MX-05, un nome che, rimosso lo "0", ha un suono piacevole e consente di collocare la sportiva all'interno della gamma Mazda al di sotto della RX-7. Il nome MX-5 è approvato, ma rimane il problema che per gli Stati Uniti è necessario affiancare alla sigla un nome "vero". Mazda affida a Rob Bymaster una ricerca di marketing per trovare la "parola" giusta. Il responso è "Miata", antico termine tedesco da quale discende la parola inglese "meed", che significa "premio", "ricompensa". Il senso piace, così come la fonetica. Non rimane che disegnare la scritta, compito del quale si fa carico lo stesso Shunji Tanaka, capo del design del Centro Stile. La questione del nome si complica ulteriormente perché "Miata" non può essere utilizzato in Giappone per l'assonanza con il termine Miyata già impiegato da un'altra società. Si pensa allora di dare alla nuova roadster un terzo nome per il mercato interno. La scelta cade su Eunos, la divisione di Mazda dedicata ai modelli sportivi e di immagine.

UN SUCCESSO DA GUINNESS

Dopo una gestazione decennale arriva finalmente il momento della resa dei conti. In Mazda la preoccupazione per come verrà accolto un modello appartenente a un segmento in via di estinzione è alta. A rilassare gli animi è l'accoglienza entusiastica di critica e pubblico al Salone dell'Auto di Chicago. Un'ammirazione che si traduce presto in vendite e in passione, con centinaia di possessori della MX-5 che si organizzano in club spontanei in tutto il mondo. Il successo è tale che il modello rimane praticamente immutato per nove anni, quando nel 1998 debutta al Motor Show di Tokyo la seconda serie, la M2. La nuova Miata non tradisce le aspettative e, come la precedente, è riconoscibile a distanza, come nelle intenzioni del designer Tom Matano: "da lontano devi vedere una bella spider, quando si avvicina devi pensare che si tratta di una Mazda e quando ce l'hai in primo piano devi riconoscere che è una MX-5". La nuova generazione prosegue il successo della precedente e nel 1999, appena 10 anni dopo l'esordio sul mercato, la MX-5 entra nel Guinness dei primati: con oltre 500.000 unità consegnate è la roadster più venduta di tutti i tempi. Primato che ancora conserva ora che è prossima a tagliare il traguardo del milione di esemplari venduti.

Fotogallery: Mazda MX-5 a quota 900.000