Taratura annuale degli autovelox: la Cassazione (sentenza 32369/2018) conferma l’obbligo a carico dei Comuni e di qualunque altro gestore della strada. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con sentenza 113/2015, imponendo alle amministrazioni locali di correre ai ripari, facendo revisionare tutti gli apparecchi, obbligandole peraltro a indicare la data di ultima manutenzione dello stesso all'interno del verbale (nella foto in alto, uno elevato dal Comune di Milano, tagliato ovviamente nelle parti "sensibili"). Ma allora, perché a distanza di circa tre anni la Cassazione è costretta a tornare sul tema? Vediamolo in basso.

Questione non di poco conto

La base di partenza, come dice la Corte Costituzionale, è che “i fenomeni di obsolescenza e deterioramento possono pregiudicare non solo l'affidabilità delle apparecchiature, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale". Insomma, gli autovelox invecchiano, e nel tempo possono misurare male, un po’ come accade per le bilance.

Cosa non basta

Non è sufficiente, dice ora la Cassazione, che il verbale riporti questa frase: “La violazione era stata rilevata a mezzo apparecchiatura autovelox debitamente omologata e revisionata, della quale gli agenti avevano accertato preventivamente e costantemente la corretta funzionalità”. Non basta. E non è vero che la “prova del regolare funzionamento dell’apparecchiatura al momento della constatazione dell’infrazione sia insita nel peculiare valore del verbale di accertamento”.

Cosa è necessario

Il verbale, dice la Cassazione, deve riportare gli estremi delle operazioni di taratura dell’autovelox in modo da consentire al cittadino una puntuale verifica: il numero di protocollo, le date. Se queste indicazioni mancano, il verbale è annullabile tramite ricorso (come farlo? Lo spieghiamo qui) al Giudice di Pace o al Prefetto, richiamando sia la sentenza della Corte Costituzionale sia quella della Cassazione.