Sul filo di lana, ma non ci siamo dimenticati di lei, della smart. Una scommessa vinta, un’auto che nel 2018 ha compiuto 20 anni ma che è già un’icona: automobilistica, di design, di successo industriale. Difficile scegliere l’incipit, il punto di partenza per il racconto di una storia così ricca di aneddoti e retroscena, per cui vale la pena partire da un dato; freddo come tutti i numeri, ma caldo per la sua portata: oltre 2,2 milioni di esemplari venduti (di fortwo, la smart “per antonomasia”, insomma), finora, in oltre 40 Paesi del mondo. Non un record assoluto nel mondo dell’auto, questo è certo, ma qualcosa di clamoroso per un marchio che prima di questa auto non esisteva nemmeno e per una macchina a due posti destinata a un uso prettamente cittadino. Di più: a progettarla e a definirne le forme sono un’azienda che fino a quel momento è famosa per le sue berline grandi e medie, Mercedes, e un’altra che ha fatto tendenza in tutto il mondo con i suoi orologi in plastica, coloratissimi ed economici, la Swatch.

Se fosse un orologio sarebbe… Uno Swatch

E certo, direte voi, sai che scoperta: tra i cervelli che contribuiscono alla nascita della smart c’è quello, brillantissimo, di Nicolas Hayek, che ha trasformato la Swatch in un fenomeno globale.

Il ragionamento non fa una grinza, ma trasferire la filosofia degli orologi di Hayek su un’automobile non è così scontato, soprattutto se il tuo socio nell’impresa si chiama Daimler (Mercedes-Benz) e di mestiere produce macchine rigorosissime, pensate per chi, tendenzialmente, al di sotto di un cronografo Omega non scende; altro che Swatch. Eppure, la fortwo (che all’inizio è solo smart) pare proprio la trasposizione su quattro ruote dei concetti degli orologi da 50.000 lire, questo il loro prezzo base negli anni Novanta.

Degli Swatch, almeno secondo i desideri di Hayek, l’auto avrebbe dovuto avere anche l’alimentazione: sì, il patron di boss l’avrebbe voluta elettrica, ma i tempi non erano ancora maturi. Lo saranno dal 2020, quando smart produrrà solo auto 100% a batteria. 

Tridion e pannelli in plastica colorata

Dicevamo di Mercedes: per quanto la citycar in fase di progettazione sia destinata a nascere con un altro marchio, i tedeschi non sono disposti ad abbassare l’asticella nemmeno di un millimetro, se si parla di sicurezza. Da questo presupposto, la macchina viene concepita attorno al Tridion, vero e proprio scheletro super resistente agli urti, capace di un livello di protezione degli occupanti senza compromessi, nonostante le dimensioni ridotte.

A questa cellula di sopravvivenza viene poi “attaccato” tutto il resto, compresi i pannelli della carrozzeria in materiale plastico (body panel), dei più svariati colori, in tinta unita o in combinazioni di ogni genere. La fantasia scorre libera anche all’interno, dove bocchette arrotondate, strumenti “satelliti” che emergono dalla plancia e rivestimenti variopinti rallegrano le code in città. 

intelligente 20 anni
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I romani la amano da subito

E pensare che Ferdinand Piech, all’epoca big boss del Gruppo Volkswagen, dice di no, le preferisce la Lupo, perché considera un rischio troppo grande un’auto a 2 posti. Sì perché prima che a Daimler, Hayek e i suoi uomini sottopongono il progetto della citycar a due posti a VW (ma anche a BMW e Fiat), ma trovano terreno fertile solo a Stoccarda, dove già da qualche anno sono al lavoro su un’auto da città.

E’ il classico esempio di incontro giusto al momento giusto, quello tra i management di Daimler e di Swatch: il resto è storia, di successo. Roma e i romani, per esempio, se ne innamorano. Sì, anche la città sembra dare il benvenuto a una macchina finalmente piccola, che toglie tutto il superfluo e, quello che c’è, lo tinge di allegria. Risultato: tuttora, la capitale d’Italia è la città n°1 al mondo per numero di fortwo vendute.

E’ il classico esempio di incontro giusto al momento giusto, quello tra i management di Daimler e di Swatch: il resto è storia, di successo. Roma e i romani, per esempio, se ne innamorano.

Swatch, in realtà, esce ad avventura appena iniziata

Avete presente il test dell’alce? Sì, quello famoso per aver rischiato di azzoppare non il povero animale che vive al freddo, ma la Classe A di Mercedes. Beh, sempre lui ha fatto tremare il management Daimler per la seconda volta a breve distanza quando anche la smart, nel fatidico cambio di direzione effettuato in velocità, si cappotta.

Stavolta, non per mano dei tester delle riviste specializzate, ma per mano degli stessi collaudatori della Casa, cui viene il dubbio prima, dopo aver visto quello che è successo, appunto, con la Classe A. Beh, la smart vede slittare il suo debutto sul mercato e, a causa degli investimenti aggiuntivi richiesti, Swatch si ritira dalla joint venture SOFIREM, con sede a Hambach, in Francia, e di proprietà così suddivisa: 38,3% per Daimler, 36,7% per SMH e 25% per la società statale francese per lo sviluppo della regione. 

Quasi 20 milioni di lire

Le vicissitudini societarie si risolvono con Daimler che rileva l’intero capitale, mentre dal punto di vista del prodotto la smart viene modificata (pneumatici più larghi al retrotreno, assetto più rigido ed ESP di serie) e presentata in versione definitiva al Salone di Francoforte del 1997.

Le vendite iniziano il 2 luglio dell’anno successivo e in pochi scommettono sul successo della smart, complice anche un prezzo da… Mercedes in scala: circa 18 milioni di lire. I libri di storia dicono il contrario. Per la felicità di Daimler e di tutti quelli che sviluppano la “smart dipendenza”, quell’assuefazione che ti prende fin dalla prima volta che l’hai guidata in città e ti chiedi perché, fino ad allora, eri andato in giro con tutto “il superfluo” rappresentato dal metro - almeno - in più di carrozzeria delle altre. 

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Lo sviluppo della gamma

I volumi di vendita superano le aspettative della stessa Daimler, che nel 2003 non si accontenta del solito restyling, ma allarga la gamma alle roadster e roadster coupé, oltre che alla prima smart Brabus. Nel 2004 arriva invece la smart forfour, su base e motori della Mitsubishi Colt e prodotta in Olanda.

Roadster e forfour in realtà non sono grandi successi; la produzione della seconda termina infatti dopo soli due anni, quando si decide di concentrare gli sforzi sulla seconda generazione di fortwo, del 2007. Nel 2014 arriva invece la terza generazione, l’attuale, che si allarga nuovamente alla forfour, complice anche l’accordo con Renault, che sulla base appunto della forfour ricava la Twingo. 

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