L’Alfasud è un sogno che in Alfa Romeo inseguono da lungo tempo, ma quando, finalmente, si avvera si trovano costretti ad affrontare la, terribile, indisciplina del personale del nuovo stabilimento. Scioperi e assenteismo provocano danni enormi che rischiano di offuscarne, in parte riuscendoci, quelle raffinatezze meccaniche che ne possono fare la regina delle compatte.

Alfa Romeo Alfasud Auto&Storia

L’Alfa e Napoli

La casa del Portello, fin da quando è la filiale italiana della francese Darraq, possiede una fabbrica a Pomigliano D’Arco, nella periferia del capoluogo campano. L’impianto partenopeo viene successivamente impiegato da quel ramo dell’Alfa Romeo che costruisce motori per aerei, con la realizzazione di una pista per l’atterraggio e il decollo.

Già negli Anni ‘50 l’Alfa aspira ad allargare la gamma al di sotto della Giulietta. I tecnici fanno diversi progetti, che comprendono anche l’impiego della trazione anteriore, tanto sacrilega per gli Alfisti DOC. Il massimo che si fa per raschiare qualche cliente a Fiat è produrre, a Pomigliano, le Renault Dauphine e 4 su licenza.

Alla fine degli Anni ‘60, dopo vari tentativi, arriva il momento propizio per una baby Alfa. L’amministratore della casa, Giuseppe Luraghi, riceve un forte sostegno economico da parte dello Stato, già proprietario dell’azienda. In cambio l’Alfa Romeo deve produrre il nuovo modello nel sud Italia, con lo scopo di creare lavoro in un’area che, storicamente, soffre di disoccupazione e arretratezza.

Un grande team

Nel progetto sono coinvolti nomi importanti come Giorgetto Giugiaro, da poco in proprio, Carlo Chiti, direttore dell’Autodelta, il ramo corsaiolo del Biscione, e Rudolf Hurska, ex collaboratore di Ferdinand Porsche. La nuova Alfa deve essere comoda, spaziosa, parsimoniosa e, come da tradizione Alfa, uno spasso da guidare. Modello e sito di produzione prendono nome dal marchio e dal territorio in cui devono portare prosperità: Alfasud.

Per ospitare la fabbricazione dell’Alfa Romeo Alfasud viene ampliato e ammodernato l’impianto napoletano, usando i macchinari più all’avanguardia del tempo. La vettura è sottoposta a severi test di collaudo, tra i gelidi ghiacci del Polo Nord e il caldo torrido del deserto del Marocco.

Il risultato è una piccola due volumi, spinta da un piccolo, ma scattante, motore a quattro cilindri contrapposti, con un baule molto capiente, grazie anche alle cerniere posizionate all’esterno. Le prestazioni, dovute anche ad una sapiente distribuzione dei pesi, spingono la dirigenza a previsioni ottimistiche sull’esito dell’operazione.

Alfa Romeo Alfasud Auto&Storia
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Il grande debutto

L’Alfasud viene presentata al Salone di Torino nel 1971. È molto più accessoriata e spaziosa rispetto alle altre compatte del periodo, quindi ha le carte in regola per sfondare sul mercato. Caratteristiche fanno ingolosire il pubblico, e anche incavolare la Fiat, in quanto concorrente scomoda, ma alcune mostruose pecche fanno svanire, anzi corrodere, l’entusiasmo.

A Pomigliano D’Arco gli operai interrompono più volte la produzione, compromettendo gli assemblaggi e la resistenza all’ossidazione delle lamiere dei primi esemplari. Tutti guai che disonorano il marchio del Biscione, con un enorme danno d’immagine e un’ondata di sfottò per diversi anni a seguire. L’Alfa interviene urgentemente con ingenti spese, che ne minano seriamente la solidità finanziaria.

Sportività tutt’avanti

Il motore boxer inizialmente è solo 1.2 di cilindrata, erogante 68 cv sulla versione Ti, abbinato ad un cambio a quattro marce. Più avanti aumenta la cubatura e arriva il cambio a cinque marce, raggiungendo i 95 cv con la Ti 1.5. Con il restyling degli Anni ‘80 arriva la 1.5 Quadrifoglio Verde, che forte di 105 cv tocca i 177 km/h e scatta sullo 0 a 100 in 9,5 secondi. Una peperina che, senza vantare la solidità tedesca, sa battersi ad armi pari con la Volkswagen Golf GTI.

Dalla Sprint alla Giardinetta

All’Alfasud, nel 1976, viene data una frizzante sorella coupé, nota con l’evocativo nome di Alfasud Sprint, con gli stessi motori della berlina. Negli Anni ‘80, dopo la sostituzione dell’Alfasud con la 33, questa coupettina continua la sua vita in modo autonomo, fino al 1989, ricevendo il nuovo atletico boxer 1.7 da 118 cv. Con questo motore la Quadrifoglio Verde sfiora i 200 km/h.

Altre varianti di carrozzeria sono la due porte, inizialmente appannaggio della Ti, e la Giardinetta, una mosca bianca già da nuova, roba che oggi è più difficile da scovare persino di una Lamborghini Islero. Nel tempo riceve anche il pratico portellone, grande quanto il lunotto. Ai tempi si studia anche un'interpretazione spider dell’Alfasud, rimasta però un bel bozzetto su carta.

Alfa Romeo Alfasud Auto&Storia
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Un bolide per tutti

All’Alfasud l’Alfa Romeo dedica un campionato monomarca, per piloti giovani ma tenaci. Un’iniziativa che raccoglie molte adesioni, combattuta inizialmente con delle Ti a due porte, per poi passare alla Sprint. Diversi team privati la portano a gareggiare in diversi rally, divertendosi come matti e incassando numerose vittorie.

L’Autodelta realizza, a scopo sperimentale, due esemplari della Sprint con motore e trazione messi dietro, col mitico V6 Busso 2.5 montato al posto dei sedili posteriori. Lo scopo è quello di convincere la dirigenza a fare un pensierino alla partecipazione nel Rally Gruppo B, contro le Lancia 037, ma le difficoltà economiche che affliggono l’Alfa in quel periodo mandano i piani all’aria.

Alfa Romeo Alfasud Auto&Storia
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Un esercizio di stile ed efficienza

Giorgetto Giugiaro usa la base di questa sua figlia per una delle sue one off più riuscite, la Caimano. Una previsione dell’auto del futuro, secondo le fantasie in vigore negli Anni ‘70. Un gioiello di design che attualmente riposa presso il Museo Storico Alfa Romeo di Arese.

Dell’Alfasud vengono fatti, in tiratura limitata, degli allestimenti particolari, come la Valentino, griffata dall’omonimo stilista che ne impreziosisce gli interni, e la Junior, molto spartana e pensata per le striminzite tasche dei giovani.

Altri allestimenti speciali sono la Svar e la Esvar, due esemplari con lo scopo di sperimentare nuove soluzioni per incrementare la sicurezza e ridurre i consumi.

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Tra l’immaginario popolare e il riscatto da storica

L’Alfa Romeo Alfasud, a causa dei gravi problemi costruttivi degli esordi, è vista da molti come un’auto disgraziata per utenti sfigati. Motivo per cui Carlo Verdone la sceglie per accompagnare lo sfortunato migrante in “Bianco, rosso e Verdone”, film in cui si caricaturizzano molti malcostumi del Belpaese.

L’Alfasud, nonostante le sventure passate, riesce a diffondersi in oltre un milione di esemplari. Oggi questo modello, a dispetto delle agitazioni di fabbrica e delle malelingue subite nel tempo, si prende la sua rivincita. Diverse sono portate ai raduni, fianco a fianco con le più rinomate Alfetta e Giulia, e vengono costituiti dei club in suo onore.

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In balia dell’inflazione

Da nuova l’Alfasud berlina costa intorno a un milione e mezzo di lire, all’incirca come una Fiat 128 Rally. A fine vita le tariffe sono comprese tra i sette milioni e gli oltre 9 milioni di lire, mentre Volkswagen Golf e Fiat Ritmo partono da poco più di 6.000.000 e arrivano a sopra i 9.300.000. L’Alfasud Sprint, agli esordi, costa 5.600.000 lire, di più rispetto ai 5.594.000 per la Volkswagen Scirocco più accessoriata e molto di più in confronto ai 3.794.000 della Fiat 128 coupé. A fine carriera la Sprint sta tra i diciassette e i quasi venti milioni di lire, mentre la anch’essa vissuta Volkswagen Scirocco arriva anche oltre ai 25 milioni di lire.

Una prospettiva al collezionismo

Oggi ci vogliono massimo 9.000 euro per una berlina, in versione normale, che lievitano anche fino a 13.000 e oltre per una Sprint e le versioni più vitaminizzate, di sicuro quelle più ricercate dai nostalgici.

Una pagina di storia vivente delle magagne sociopolitiche della Prima Repubblica, ma che sa divertire come solo un’Alfa sa fare.

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