Poco più di 1.000 battute, 12 righe di testo. Tanto è bastato venerdì sera per far saltare sulla sedia schiere di automobilisti e addetti ai lavori, mettendo in subbuglio la galassia automotive.

Una nota stringata, senza virgolettati, per dire a valle della riunione del Cite (il Comitato interministeriale per la transizione ecologica) che entro il 2035 l’Italia fermerà la vendita di auto con motore a combustione. Stessa sorte per furgoni e veicoli commerciali, ma con orizzonte 2040.

La notizia non solo è di quelle grosse, tanto da balzare subito in testa a tutti i siti d’informazione nazionali, ma è anche decisamente inattesa. Solo poche ore prima, infatti, il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che del Cite fa parte, aveva puntato il dito sulle criticità occupazionali del passaggio al tutto elettrico. Peraltro, dopo aver manifestato l’intenzione di chiedere con forza all’Europa di smorzare le ambizioni sullo stop a benzina e diesel.

E in precedenza c’era stata la Cop26 di Glasgow - presente il titolare della Transizione ecologica, Roberto Cingolani (vicepresidente del Cite) -, nel corso della quale l’Italia non aveva aderito all’alleanza per le zero emissioni promossa dal Regno Unito.

Il punto di Giovannini

Con questo sfondo, nessuno si aspettava d'emblée un’accelerazione simile. Tantomeno l’industria, come dimostra l’aspro comunicato diffuso da Anfia, l’associazione della filiera auto italiana. “Se rispecchia realmente le posizioni del Governo italiano”, esclama l’associazione, il Cite “non può aver preso e comunicato alla stampa una decisione così forte senza aver contemporaneamente predisposto un piano di politica industriale per la transizione del settore automotive”.

Enrico Giovannini al Festival della Scienza, Genova 2011
Il ministro Giovannini

Ricostruire la genesi di quelle 12 righe - che ad abundantiam, sotto il vessillo della neutralità tecnologica, citano espressamente anche idrogeno e biocarburanti - è tutt’altro che semplice, ma ci viene incontro il responsabile del Mims, Enrico Giovannini, dai più indicato come promotore dell’iniziativa.

In un’intervista alla Stampa, Giovannini sottolinea che la decisione “è stata presa all’unanimità da tutti i ministri (quindi anche Giorgetti e Cingolani, ndr), in vista delle negoziazioni sui tavoli europei”. Su questo aspetto, quindi, non c’è molto da aggiungere.

“Ci siamo mossi perché non possiamo permetterci di perdere la corsa dell’innovazione della mobilità”, spiega l’ex numero uno dell’Istat, “abbiamo avviato un processo che dura 15 anni su cui si dovrà esprimere il Parlamento. Abbiamo fatto chiarezza sui tempi, come ci chiedevano gli stessi costruttori”.

E adesso?

Di fronte al delinearsi di una posizione univoca sui trasporti, pare lecito attendersi novità in questo senso anche in legge di Bilancio, dove prosegue il tira e molla sugli incentivi auto. “Nei prossimi anni bisogna prevedere in modo stabile due tipi di incentivi”, osserva Giovannini, “sia per l’acquisto di auto non inquinanti, sia di auto usate. Chi ha un Euro 3 e compra usata un’auto Euro 6 migliora l’ambiente e deve essere incentivato”.

Ma al netto della partita dell’ecobonus, per la quale sembra che qualche risorsa alla fine sarà trovata, quello che adesso tutti chiedono è un po’ di chiarezza. Tanto i produttori, per capire una volta per tutte come muoversi, quanto i cittadini, per i quali l’auto resta una voce di spesa fondamentale.

Mario Draghi e Ursula von der Leyen
Ursula von der Leyen e Mario Draghi

Al di là dei giudizi di merito - e di metodo - dell’annuncio, l’auspicio è che si possa mettere definitivamente un punto sulla questione e si inizi a remare tutti in una sola direzione, con un obiettivo chiaro e intelligibile, senza pericolose ambiguità.

Ne va del futuro industriale del Paese e delle centinaia di migliaia di famiglie che a vario titolo gravitano intorno al settore auto. A Palazzo Chigi devono averlo inteso. Del resto, ipotizzare che il Cite possa essersi mosso su un tema tanto sensibile senza l’avallo di Draghi sarebbe quantomeno azzardato…