È più o meno un lustro ormai che arrivati a dicembre si parla dell’anno successivo come di quello “di svolta” per le auto elettriche. E in effetti, guardando al recente passato, sarebbe miope non riconoscere i salti quantici messi a segno dal settore. Stavolta però, in Italia, il discorso rischia di essere profondamente diverso.

Già, perché se nel resto d’Europa la via dell’elettrificazione lascia ben poco spazio a titubanze e rallentamenti, dalle nostre parti qualcosa sembra essersi improvvisamente inceppato. Ma che succede?

Disattenzione imperdonabile

“C’è tanta, tanta delusione”, commenta Francesco Naso, segretario generale di Motus-E, “al di là del flop degli incentivi, che servirebbero ancora e che hanno tutti i grandi Paesi europei tranne l’Italia, la cosa più preoccupante è la mancanza di attenzione per un settore come l’automotive, fondamentale per lo sviluppo industriale del Paese”.

Un problema che per Naso “non potrà essere risolto con un paio di riunioni del tavolo automotive al Mise”, la cui credibilità, peraltro, “rischia ormai di venire meno”. Del resto, prima dell’avvilente tira e molla sull’ecobonus, proprio da lì era partita la promessa di un grande piano triennale per l’auto da 3 miliardi di euro.

Francesco Naso, Motus-E
Francesco Naso

Qualche speranza si è riaccesa con gli ordini del giorno sulla eMobility approvati alla Camera, così come con le ipotesi di scostamento di bilancio delle ultime ore. Ma ora come ora, con la bomba del caro-bollette da disinnescare, trovare risorse rilevanti per la mobilità sostenibile sembra piuttosto complicato.

Il mercato e gli incentivi

Le performance del mercato elettrico italiano nel 2021 non fanno poi che aumentare i rimpianti. “Nonostante le tante difficoltà, dalla crisi dei chip alle agevolazioni a singhiozzo”, osserva Naso, “quest’anno le auto elettriche sono andate molto bene, con dati in linea con le nostra previsioni. Ora resta da vedere dicembre, ma si potrebbe chiudere l’anno con 65-70mila immatricolazioni full electric”. Più del doppio del 2020, a fronte di un mercato complessivo invece in drammatico affanno.

Numeri che messi a sistema con l’analogo andamento europeo dovrebbero sollevare più di qualche riflessione a Palazzo Chigi e nei ministeri competenti. “L’elettrificazione dei trasporti è un trend assoluto, implacabile, è sotto gli occhi di tutti che il mondo stia andando in questa direzione”, insiste Naso, “non è possibile che un argomento di tale importanza venga preso così sotto gamba”. L’appello quindi è molto chiaro: “Dobbiamo darci una svegliata. L’idea era quella di non dare gli incentivi alla domanda per strutturare una politica dal lato dell’offerta? Va bene, ma non è stato fatto neanche questo”.

A ben guardare, il rischio è che nel contesto di un auspicabile rimbalzo del mercato auto continentale - semiconduttori permettendo - la Penisola possa trasformarsi in un grande collettore europeo per le auto termiche, con le poche elettriche a disposizione convogliate nei Paesi resi più attrattivi dai bonus. Una “Serie B dell’auto” molto pericolosa per gli ambiziosi obiettivi che l’Italia si è già data.

Tesla in un piazzale
Un piazzale pieno di auto elettriche

“Di sicuro senza incentivi non potremo neanche avvicinarci ai numeri di quest’anno”, rimarca il segretario generale di Motus-E. Anche perché, ci sentiamo di aggiungere, saranno molti gli automobilisti seccati e scoraggiati dall’improvvisa sforbiciata su un’agevolazione che arrivava alla bellezza di 10.000 euro. A maggior ragione dopo tutti i proclami e l’altalena delle ultime settimane.

Ma quanto sarebbe servito per tenere insieme un meccanismo di agevolazioni simile al passato? “Secondo i nostri calcoli, incentivare le auto 0-20 g/km di CO2 sarebbe costato circa 300 milioni di euro per il 2022 e 500 mln alzando la soglia fino a 60 g/km. Il tutto con un impianto con incentivi fino a un massimo di 6.000 euro, come la prima versione dell’ecobonus”. La proposta di Motus-E per i privati era poi quella di scendere gradualmente di 500 euro all’anno, per evitare strappi, mentre per le flotte l’idea era stata dettagliata dall’associazione già nei mesi scorsi.

Il nodo della ricarica

C’è poi tutto il tema della ricarica, a partire ovviamente dalle colonnine. “Nell’ultimo periodo la rete non è cresciuta moltissimo, nelle prossime settimane avremo i dati ufficiali ma dovremmo stare intorno ai 26.500 punti totali”, anticipa Naso, “adesso però c’è grande attesa per l’iniezione di risorse del Pnrr (740 mln €, ndr) ed è fondamentale che gli enti locali si diano una scossa”.

I fondi del piano saranno concentrati sulle colonnine oltre i 50 kW, e in giro ormai si parla quasi solo di HPC, ma per il numero uno di Motus-E non bisogna dimenticare anche le colonnine più lente: “All’interno di un ecosistema ben strutturato servono anche quelle, distribuite con criterio in aree specifiche dove le auto rimangono parcheggiate per diverse ore”.

auto elettrica colonnina
Un parcheggio con ricariche lente

E le autostrade? “Innanzitutto aspettiamo che il ministro Giovannini, tra i pochi a essersi mostrato sensibile al tema, accolga la nostra richiesta di rendere pubblici i piani dei concessionari, consegnati due anni fa e poi spariti nel nulla. Intanto parteciperemo alla consultazione dell’Autorità dei Trasporti, a cui diremo chiaramente che siamo molto preoccupati per le tempistiche di installazione delle infrastrutture”.

Nel frattempo, complice l’aumento globale dei prezzi dell’energia, senza un intervento del Governo si acuisce anche il rischio di rincari per le tariffe di ricarica pubblica. “Nell’ultimo trimestre - spiega Naso - sarebbe bastato un milione e mezzo di euro per scongiurarlo, ora vediamo cosa succederà”.

Un rischio strategico

Sullo sfondo c’è il tema più rilevante e strategico per il sistema Paese, quello dell’industria. Qui Naso ci tiene a sgombrare il campo dai fraintendimenti.

“Si è scritto molto in giro della possibile perdita di 60-70.000 posti di lavoro in Italia per effetto della transizione elettrica”, precisa il segretario generale, “la verità però è che quel dato è stato estrapolato da un report molto più corposo, che dice anche un’altra cosa: i posti di lavoro sono a rischio se non si fa nulla per governare e gestire questo processo ormai inevitabile. E aggiungo, se l’Italia continuerà così, il numero potrebbe essere anche peggiore. Per questo dobbiamo muoverci”.

La storia di Mirafiori
Lo stabilimento di Mirafiori

“Gli studi condotti a livello europeo”, conclude Naso, “dimostrano che allargando il perimetro di analisi a tutte le filiere coinvolte, nel periodo 2020-2030 non ci sarà nessuna emorragia occupazionale causata dall’auto elettrica. Nel primo semestre del 2022 metteremo a punto uno studio ad hoc con l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Stupisce che finora non ci sia stato un discorso serio su questi argomenti. Noi lo diciamo da tre anni: se non si affronta la questione in modo organico e analitico si rischia davvero di ammazzare l’automotive in Italia”. Un errore imperdonabile.

Adesso, il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti promette di “affrontare prestissimo la questione all’interno del Governo”. Speriamo che sia davvero così.