L’Antitrust dice la sua sul tema delle colonnine di ricarica in autostrada, con un parere – non vincolante – che indica i principi per consentire una rapida diffusione delle infrastrutture sulla grande viabilità in Italia.

Le regole del gioco su cui si esprime l’Agcm sono quelle elencate dall'Autorità di regolazione dei Trasporti nel documento intitolato “Misure per la definizione degli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali ai sensi dell’articolo 37, comma 2, lettera g), del d.l. 201/2011”. Dal numero minimo di operatori presenti in ogni area di servizio alla durata delle concessioni, passando per la potenza delle colonnine: ecco cosa pensa l’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Minimo due CPO

Prima di tutto, l’Agcm è d’accordo con il fatto che in ogni struttura debbano essere presenti i punti di ricarica di almeno due Charging point operator (CPO), perché questa soluzione, secondo l’Autorità, permetterebbe agli automobilisti elettrici di confrontare meglio le varie offerte rispetto alla presenza di un solo player per ciascuna area. E così è garantita anche la concorrenza tra i CPO. Nel testo si legge in particolare che 

“riguardo alla pluralità ('almeno due') di Charging Point Operator (CPO), prevista per tutte le classi di aree di servizio, l’Autorità ritiene che la stessa massimizzi la pressione concorrenziale tra gli operatori, risultando così più efficace nell’impedire la formazione di sacche di potere di mercato tra i CPO attivi lungo le autostrade italiane rispetto a quanto si potrebbe ottenere ricorrendo alla sola concorrenza tra punti di ricarica posti in più AdS di ciascuna tratta autostradale.

Infatti, il confronto tra offerte situate in diverse AdS, oltre ad essere ovviamente meno immediato rispetto a quello tra operatori situati all’interno della stessa area, potrebbe anche in molte situazioni rivelarsi un’opzione concretamente non praticabile a causa della minore autonomia di percorrenza delle auto elettriche rispetto a quelle azionate da motori a combustione interna. La compresenza di almeno due CPO per AdS è dunque senz’altro auspicabile, soprattutto nella attuale fase nella quale si sta definendo l’intera filiera della mobilità elettrica”.

L’Antitrust specifica inoltre che non ci sarebbero grossi problemi a realizzare questa “compresenza”, ma sarà compito del concessionario autostradale porre “massima attenzione alla gestione degli spazi disponibili” nelle aree di servizio.

Phoenix Contact CHARX (CCS Combo 2) carica rapida ingresso e spina

E almeno 100 kW

In mezzo a questo discorso, finisce anche una importante considerazione sulla potenza delle colonnine. L’Antitrust sostiene che i punti di ricarica sulla grande viabilità definiti “ultraveloci” debbano avere una potenza minima di 100 kW, “in grado di consentire tempi di ricarica sostanzialmente assimilabili a quelli propri del rifornimento di carburante tradizionale”.

Segue il perché di questa posizione: nonostante il “parco di veicoli elettrici attualmente in circolazione sia composto da auto con batterie a potenze inferiori a 100 kW”, il boom delle auto a zero emissioni “potrà avvenire solo se sarà disponibile, anche in ambito autostradale, una rete di punti di ricarica a potenze più elevate di 50 kW”. L’obiettivo è “abbattere i tempi di ricarica”, che “rappresentano il maggior ostacolo alla diffusione dei veicoli elettrici”.

Capitolo tempi

Spazio poi a una riflessione sulla durata minima delle subconcessioni, fissata a 5 anni e che può essere aumentata in base alle “necessità di infrastrutturazione dell’area”. L’Agcm ritiene che la misura “consente di garantire ai concessionari autostradali una sufficiente flessibilità nell’affidamento”.

Il discorso vale soprattutto per i servizi di ricarica, “che hanno una natura ‘greenfield’ in questa prima fase di nuovi affidamenti e per i quali la relazione tra investimenti necessari alla realizzazione delle infrastrutture e periodo necessario al loro ripagamento non è ancora supportata da esperienze concrete di mercato, ma solo da previsioni ed ipotesi aziendali”.

Già, ma quali sono le stime su tempi, guadagni e investimenti? Tra le pagine si legge che “l’ammontare dei costi per una stazione di ricarica ultraveloce sono ben inferiori al mezzo milione di euro (compresi i costi di allacciamento alla rete a media tensione) e che i tempi di ritorno dell’investimento ipotizzati dai principali operatori oscillavano tra 8 e 10 anni”. Prima di chiudere, un placet al “divieto di proroga o rinnovo della convenzione di subconcessione”.