C’è chi si rode per dimostrare costantemente di essere il numero uno, persone che ancor prima di essere piloti, motociclisti, sciatori, ciclisti, pugili, ma anche manager, impiegati, giocatori di bocce o di carte, hanno il bisogno primordiale di affermarsi come vincenti, qualsiasi cosa facciano, sempre. C’è chi invece, come Rosberg, mette una determinazione e una dedizione totale in ciò che fa, ma sa anche che nella vita esiste altro. Ecco perché lo stupore della notizia del ritiro dalle competizioni del Campione del Mondo di F1 del 2016 - Nico Rosberg, appunto - lascia ben presto spazio ad altre riflessioni. Soggettive, ma basate su quanto accaduto soprattutto negli ultimi giorni a questo ragazzo che, grazie a questa decisione, rimarrà nella storia come il “Campione che si è ritirato dalla Formula 1 cinque giorni dopo aver vinto il Mondiale” e non più come “Il figlio di Keke Rosberg”.


Tre buone ragioni


La prima: il ragazzo è molto intelligente, quindi troverà altro da fare, e di molto interessante; tanto per cominciare godersi moglie e figlia. Secondo: siccome la sua intelligenza è superiore al suo talento (comunque notevole, perché vincere battendo Hamilton con la stessa macchina è come vincere i 100 metri nell’atletica correndo nella stessa batteria di Usain Bolt), Rosberg sa benissimo che per confermarsi avrebbe dovuto impegnarsi ancor di più di quanto fatto quest’anno, quando, per sua stessa ammissione, ha dato tutto ma proprio tutto quello che aveva. Terzo: in un certo senso questa vittoria la doveva a suo padre Keke, Campione del Mondo a sua volta nel 1982. Qui siamo nel campo delle supposizioni, ma il video pubblicato la sera stessa del trionfo ad Abu Dhabi (nel quale ringrazia i genitori e si vede un giovane Keke accompagnare Nico nei primi metri con il go-kart) e il fatto di aver ripetuto più volte: “Felicissimo, campione come mio padre”; “Sono contento di aver ripetuto il successo di mio padre dopo 34 anni”; “Sono contento di aver ripetuto l'impresa di mio padre” fanno pensare che il ragazzo avvertisse quasi un senso del dovere, nel raggiungere questa vittoria. In ultimo: i soldi per arrivare a fine mese, a lui e a occhio alle 3 generazioni che verranno dopo di lui, non mancheranno di certo.


"Una pressione incredibile"


Non bisogna inoltre dimenticarsi che essere pilota di Formula 1 sottopone a pressioni psicologiche incredibili. Qualche anno fa, in occasione di una ricorrenza Mercedes (giusto per rimanere in casa), il Campione del Mondo 1998-1999 di F1, il finlandese Mika Hakkinen, mi disse che essere pilota di Formula 1, a maggior ragione di una squadra di vertice con una multinazionale alle spalle (nel suo caso le due entità erano rispettivamente McLaren e Mercedes), richiede una dedizione e un impegno psico-fisico ai limiti della resistenza umana. Qualcosa che si ripete peraltro ogni giorno, anche al di fuori del periodo delle gare, tra preparazione fisica, continui meeting con gli ingegneri, viaggi intercontinentali per far contenti gli sponsor, senza contare le “guerre” psicologiche che ti fanno gli avversari, dentro e fuori la pista. Ecco, forse tutto questo, per un ragazzo come Nico Rosberg, che ha fatto della “normalità” nella vita privata la sua filosofia, non sarebbe stato accettabile per altri anni. Complimenti a lui e al suo coraggio.

Fotogallery: Nico Rosberg si ritira dalla F1, ecco perché