Dire Alfa Romeo Giulietta è un po' come dire pasta: ci sono talmente tante varianti che è bene specificare di quale si sta parlando, per non rischiare di incappare in qualche malinteso. La prima risale addirittura al secondo dopoguerra, mentre l'ultima è tuttora il modello di maggior successo per il marchio Alfa Romeo, detto che la gamma attuale del Biscione non è certo all'altezza del suo prestigio e solo il miracolo promesso da Marchionne potrebbe cambiare le cose. Ma torniamo alla Giulietta: al Portello (sede storica della Casa milanese prima che si trasferisse ad Arese, poi a Torino, poi a Londra/Detroit/Amsterdam...) si comincia a pensare a questo modello nel 1950 e l'obiettivo non è "solo" quello di progettare la sostituta della 1900, è ben più ambizioso e coinvolge l'azienda nella sua totalità.


Alfa Romeo, da "officina" a Casa Automobilistica


Con l'introduzione della Giulietta negli anni '50, l'Alfa Romeo si mette in testa diventare grande non solo in termini di qualità e tecnologia applicata alla vettura: i vertici dell'azienda milanese vogliono uscire dalla dimensione poco più che artigianale e avviare una vera produzione in serie, passare da circa 20 veicoli al giorno a 200. Numeri che, letti oggi, fanno quasi tenerezza, ma che per l'epoca rappresentano uno sforzo titanico: moltiplicare la produzione per dieci significa ripensare tutto, dall'ingegnerizzazione del veicolo al processo produttivo dello stesso, dalla dimensione della fabbrica all'organizzazione del lavoro, dalla logistica alla dimensione della forza lavoro. Prezioso si rivela il contributo economico messo a disposizione dall'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale, che rappresenta a tutti gli effetti il proprietario dell'azienda), mentre per la guida delle operazioni viene reclutato a Rudolf Hruska, l'ingegnere austriaco che si era già occupato, nientemeno, che dell'industrializzazione del Maggiolino. Va bene, è il momento di lasciare spazio alla Giulietta, a ciò che ha rappresentato per gli italiani e non solo, visto che rientra nella cerchia delle Alfa Romeo più amate di sempre.


Prima la coupé e poi la berlina


Non fu cosa facile, mettere in strada la Giulietta. Il debutto, previsto per il 1954, slittò all'anno successivo per problemi legati alla rumorosità della vettura. Si decise dunque di lanciare prima la versione coupé, denominata Sprint, assemblata da carrozzieri esterni, a cui la clientela avrebbe perdonato qualche "imprecisione" in più; anzi, una maggiore pervasività del sound del motore di Busso sarebbe stata cosa gradita. E se la Giulietta Sprint è il capolavoro che tutti conosciamo è proprio per merito degli affinamenti apportati dai fornitori esterni del calibro di Boano, Bertone, Scaglione e Giorgetto Giugiaro, che "limarono" gli ultimi dettagli della vettura dandole un look oggettivamente meraviglioso. Ok, non si dovrebbe dire ma delle eccezioni sono concesse... Anche perché a parlare furono i numeri: il giorno del debutto al Salone di Torino del 1954 fu raccolta una quantità di ordini che superava la produzione annua prevista. Un amore a prima vista che diventava vera passione quando si dava vita al motore, vero vanto di ogni Alfa Romeo: un quattro cilindri 1.3 da 65 CV, capace di spingere la due porte del Biscione fino a 160 km/h. Ma siamo solo all'inizio, perché come ogni mito a quattro ruote, anche la Giulietta Sprint conosce varie evoluzioni e serie speciali: tra le prime, va segnalata la "Veloce". Più leggera grazie all'adozione di finestrini delle portiere in plexiglas e alla rinuncia ai coprimozzi cromati, è anche più potente: i 2 carburatori Weber e il rapporto di compressione aumentato (a 9:1) portano i cavalli a quota 90, mentre la velocità di punta tocca i 180 km/h. La Sprint Veloce contribuisce al mito Alfa Romeo nelle corse: tra le varie vittorie, si ricorda in particolare quella alla Mille Miglia del 1956, dove porta a casa i primi tre posti di categoria davanti alla Porsche 356.


Giulietta berlina, la prima di tre


Se la sua missione doveva essere quella di trasformare l'Alfa Romeo, beh, la Giulietta centrò in pieno l'obiettivo: dopo 12 mesi di successi in versione a due porte, ecco la berlina. Una quattro porte che rapisce con il look, convince con un motore e un piacere di guida impensabile in quegli anni e fa perdere definitivamente la testa con un sound che è pura melodia. Il tutto, con un bagagliaio che metteva la coscienza a posto nei confronti della famiglia. Anche qui, i numeri parlano chiaro: la Giulietta totalizza la bellezza di oltre 130.000 ordini, una quantità ragguardevole per quell'epoca. Quanto alla meccanica, inizialmente il motore è un 4 cilindri di 1.290cc da 50 CV con cambio al volante a 4 marce. Nel 1957 si comincia a fare sul serio con la Giulietta TI - Turismo Internazionale - che a leggere modifiche estetiche a cofano e fanali aggiunge il motore portato a 65 CV (74 CV nel 1961). La parola fine sulla carriera della Giulietta viene messa dalla Giulia nel 1964.


Giulietta Spider


Dici Spider, pensi agli USA: proprio da Oltreoceano arriva la richiesta di produrre una versione scoperta della Giulietta Sprint (la coupé). L'importatore americano, sicuro delle potenzialità della vettura, fa grande pressione sui vertici del Biscione, che ne affida la realizzazione a Pininfarina. La produzione in serie inizia nel 1956 con due versioni: una normale 1.3 da 65 CV e 165 km/h di velocità massima e una Veloce da 180 km/h, che però viene venduta in meno di 3.000 esemplari sui circa 14.000 totali che totalizza il modello.


1977: la rinascita della Giulietta


Stesso nome, due stili completamente differenti e figli delle rispettive epoche. Se la prima Giulietta, della fine degli Anni Cinquanta, è tutta curve e morbidezza, la seconda, nata nel 1977, fa degli spigoli e delle linee rette il proprio credo. La base meccanica è la stessa dell'Alfetta, rispetto alla quale si posiziona leggermente più in basso e, soprattutto, si rivolge a una clientela più sportiva. Inizialmente proposta con motori 1.3 e 1.6 da 95 e 109 CV, la Giulietta viene poi dotata anche dei motori 1.8 da 122 e 2.0 da 130 CV. Grazie a un raffinato schema di sospensioni – ruote indipendenti anteriori e ponte rigido De Dion al posteriore – a una messa a punto sportiva dell'assetto, alla trazione posteriore e a un'ottimale distribuzione dei pesi (il cambio è posizionato sul retrotreno), la Giulietta offre un piacere di guida al top del segmento. Alla validità del progetto, tuttavia, non corrisponde una realizzazione altrettanto valida: l'Alfa Romeo è gestita (a dir poco) male, sulle linee di montaggio della fabbrica di Arese succede di tutto e questo scarso attaccamento all'azienda diffuso a tutti i livelli porta a vetture spesso inaffidabili, con problemi meccanici molto, troppo frequenti, tra cui addirittura la ruggine sulla carrozzeria (un problema che i tedeschi hanno superato da decenni). Nonostante questo, tra il 1977 e il 1985 – anno di debutto della sostituta Alfa 75 – sono poco meno di 380.000 le Giulietta di seconda serie vendute. Un successo solo parzialmente meritato. Detto questo, la Giulietta non si fa mancare una chicca: la 2.0 Turbo Autodelta, capace di 170 CV e oltre 200 km/h di velocità massima.


Giulietta: la terza ne ha due (di volumi)


Gli alfisti hanno avuto qualche difficoltà a chiamarla Giulietta: non per la trazione anteriore (quella è una questione ormai sepolta, promesse di Marchionne e 4C a parte), quanto per la carrozzeria a due invece che a tre volumi. Già, perché la Giulietta del 2010 sostituisce la 147, che dopo dieci anni di onoratissima carriera deve lasciare inevitabilmente posto a un'erede. Dal punto di vista tecnico, la Giulietta è costruita sul pianale della Fiat Bravo, abbondantemente rivisto in chiave sportiva, per poter garantire una guidabilità superiore a quello della Bravo stessa e, dunque, più da Alfa Romeo. Il lavoro degli ingegneri del Biscione è egregio e le due auto sono davvero molto diverse da guidare, con la Giulietta che si dimostra molto più appagante pur garantendo un comfort di ottimo livello. Fa specie, entrando in un'auto dal nome storico come la Giulietta, trovare dispositivi come il DNA (il manettino attraverso cui variare la risposta di sterzo, acceleratore ed ESP) e sapere che i crash test EuroNCAP hanno decretato una sicurezza a 5 stelle: dal 1954 il progresso è stato davvero impressionante a tutti i livelli.

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