Avete presente il saluto che si fanno i motociclisti quando si incrociano per strada? Ecco, negli anni Settanta, secondo la leggenda, la stessa cosa accadeva tra i proprietari della NSU Ro 80, con la differenza che il saluto consisteva in uno, due, tre e per i più sfortunati anche quattro dita sollevate. Ogni dito corrispondeva al numero di sostituzioni del motore. Povera Ro 80, progetto validissimo, penalizzato, anzi “ucciso” da una soluzione tecnologica - il doppio motore rotativo Wankel - che in quegli anni mostrava solo delle ottime potenzialità ma poca, pochissima concretezza e affidabilità. Risultato: in dieci anni di commercializzazione, probabilmente, sono più le lamentele dei clienti degli esemplari venduti, circa 38.000. Le problematiche legate a questa berlinona - 4,78 metri di lunghezza, che i quegli anni la inseriscono di diritto tra le ammiraglie - aggravano una situazione già difficile per NSU, che già nel 1969 viene assorbita da Volkswagen.


Auto dell’Anno nel 1968


La validità del progetto, la qualità (da non confondersi con l’affidabilità) e le notevoli doti stradali fanno innamorare gli esperti della stampa internazionale, che nel 1968 la incoronano Auto dell’Anno. La cura posta nella realizzazione degli interni, per esempio, viene paragonata a quella della Mercedes Classe S, che a quell’epoca è il riferimento assoluto in questo campo. A differenza della 3 volumi di Stoccarda, però, quella di Neckarsulm (sede, appunto, della NSU), è molto più intraprendente dal punto di vista tecnico. Oltre al già citato, e non azzeccatissimo, motore Wankel, c’è anche la trovata della frizione che si aziona in automatico quando si muove la leva del cambio (a tre marce).


Aerodinamica al top, guidabilità sorprendente


Tra le motivazioni che portano i giornalisti a eleggerla Auto dell’Anno c’è sicuramente il design, originale e ricercato soprattutto nella zona posteriore. Dire che sia bello in senso assoluto è difficile, anzi, la Ro 80 è la classica macchina che divide; o si odia o si ama. Di sicuro ha il merito di non lasciare indifferenti e, altro elemento di non poco conto, di opporre poca resistenza all’aria: il Cx è di 0,35, che per l’epoca è un valore di livello assoluto. Il “papà” delle sue linee, del resto, non è un designer qualsiasi: si chiama Claus Luthe e, dopo il lavoro in NSU, passa ad Audi e BMW, per cui disegna, tra le altre le Serie 3 E30 ed E36.


Quattro freni a disco


Altro elemento tutt’altro che scontato, alla fine degli anni Sessanta, anche su una berlina di grandi dimensioni, è l’impianto frenante con quattro dischi. Idem il servosterzo e la trazione anteriore, che permette di ricavare più spazio nell’abitacolo, nel quale infatti c’è abbondanza di centimetri in tutte le direzioni. Tutti elementi, questi, che portano qualcuno a paragonare la spinta innovatrice di questa macchina a quella della Citroen DS; ovviamente si tratta di una considerazione da prendere con le pinze e sicuramente non del tutto vera, ma è altrettanto certo che sarebbe un peccato confinare la storia della Ro 80 con la totale inaffidabilità del suo doppio motore Wankel.


I perché della scelta del Wankel


Il propulsore Wankel è già stato citato diverse volte, ma merita un ulteriore approfondimento, perché quando NSU lo sceglie per la Ro 80 è considerato, un po’ da tutti, il motore del futuro. Non a caso, General Motors, Ford, Mercedes, Citroen, Nissan e Mazda hanno già acquisito da NSU i diritti per l’utilizzazione di questa soluzione: la casa tedesca, forte di un accordo di collaborazione con l’ingegnere Felix Wankel stesso, ne deteneva infatti il brevetto e fu la prima (nonché l’unica, insieme a Mazda qualche anno dopo, a puntarci veramente).


Una concorrenza difficile, ma che poteva essere affrontata


Le rivali della Ro 80 non sono impegnative, sono difficilissime: oltre alla già citata Mercedes Classe S, ci sono Rover 3.5 e Jaguar XJ6, il cui prezzo è anche abbastanza simile. Nonostante ciò, le vendite non vanno per niente male, inizialmente: 6.000 unità vendute nel 1968, quasi 8.000 nel 1969 e oltre 7.000 nel 1970. Poi, il tracollo, a causa delle catastrofica fragilità del motore e della conseguente cattiva fama che si genera attorno al modello. La situazione non migliora nemmeno dopo alcuni interventi pesanti apportati al motore stesso, che lo rendono molto più robusto, quando però è ormai troppo tardi.

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