Una Formula 1 vestita da auto stradale: è questa una definizione spesso (ab)usata, ma che nel caso dell’Alfa Romeo 164 ProCar calza a pennello. Non è per nulla eccessiva. Non si tratta di una nostra opinione, ma di un dato di fatto. Sapete perché? Leggete qui: “La formula ProCar ipotizza gare per vetture di peso non inferiore a 750 kg, spinte da propulsori di 3,5 litri di cilindrata aspirati, con telaio libero e carrozzeria ugualmente libera nella scelta dei materiali ma vincolata all’identità estetica con auto prodotte in almeno 25.000 esemplari l’anno”. Recita così una parte della bozza di regolamento stilato nel 1988 dalla FISA (Fédération Internationale du Sport Automobile, diventata nel 1993 l’odierna FIA) per quello che doveva essere il campionato ProCar. Non c’è bisogno di essere esperti di corse per intuire che “telaio libero” e “carrozzeria libera” portino a un’estremizzazione dei concetti al livello della F1 e che la somiglianza visiva con un’auto di serie prodotta in almeno 25.000 esemplari sia fatto apposta per appassionare chi nella F1 ci ha sempre visto qualcosa di troppo estremo rispetto al quotidiano. E se siete curiosi di sapere quanto la 164 ProCar sia vicina alla versione stradale, sappiate che è esposta al Museo di Arese.


Un’idea di Bernie Ecclestone, in cui solo Alfa Romeo crede


Sono anni in cui tutto è apparentemente possibile, gli anni Ottanta dell’economia italiana ed europea in generale che sembra (ad uno sguardo superficiale, ma che per lungo tempo ha fatto comodo a molti) poter crescere all’infinito. Accade dunque che su una “tranquillissima” Alfa Romeo 164 venga montato un motore V10 da 3,5 litri di cilindrata e circa 600 CV di potenza. Ovviamente, di normale e/o tranquillo, su quella 164 non c’è nemmeno un bullone, dal momento che la stessa carrozzeria, sebbene sia una riproduzione perfetta - in scala 1:1 e con rispetto delle proporzioni - di quella della versione di serie, il materiale di cui è fatta è la vetroresina e non la lamiera. Il bello viene però dando uno sguardo al di sotto, dove spicca non solo il motore, che già guardarlo mette “acquolina” in bocca, ma anche il telaio 100% in carbonio, realizzato dalla Brabham. La Brabham, per chi non lo sapesse, è un ex-scuderia di F1 che in quegli anni appartiene a Bernie Ecclestone, ovvero colui che lancia l’idea di un campionato per “auto silhouette”. Di una Formula 1 ci sono anche il cambio (longitudinale a 6 marce ad innesti frontali), i freni autoventilanti in carbonio, le sospensioni a quadrilatero articolato con schema di comando push-rod e barre antirollio, il serbatoio da 100 litri e cerchi da soli 13” di diametro.


Un’auto da corsa che non correrà mai


L’idea piace un sacco al Gruppo Fiat, che nel 1988 ha da poco acquistato Alfa Romeo, ma che per ovvie ragioni non può mettere contro alla Ferrari in F1. Da qui, la decisione di aderire allo studio di fattibilità lanciato da Bernie Ecclestone, che ci mette il telaio, come detto. La 164 ProCar gira a Balocco con il collaudatore dell’epoca Giorgio Francia (papà di Fabio Francia, autore del record al ’Ring con la Giulia Quadrifoglio automatica, tra l’altro), che dà una prima “sgrossata” al progetto. Più famosi, come ovvio, i giri che fa con Riccardo Patrese il venerdì del GP di Monza del 1988: alla staccata della Prima Variante la 164 ProCar ci arriva a oltre 350 km/h, ma lo show è fine a sé stesso, perché in Alfa Romeo già sanno che il progetto è già finito: le altre Case automobilistiche non sono minimamente interessate alla cosa. Ed è un peccato, perché la formula avrebbe potuto attrarre parecchio: l’identificazione delle auto stradali con quelle da corsa ha funzionato e ovunque… Con le dovute eccezioni, visto il seguito dei rally, per esempio in Italia.


V10, una scelta vincente


La scelta di un V10 aspirato non nasce però con la 164 ProCar, bensì qualche anno prima: tra il 1985 e il 1986, quando l’epoca dei motori turbo in F1 è al capolinea e Alfa Romeo deve scegliere su quale architettura puntare per il futuro. Dopo attente valutazioni, l’allora capo dei motori del Biscione (corse) Pino D’Agostino promuove il V10, preferendolo al V8 e al V12. Questo, fa del V10 Alfa Romeo il primo motore di tale genere della F1 moderna. Qualche anno dopo arrivano Honda e poi Renault, che però con il V10 corrono e vincono mondiali, mentre il progetto dell’Alfa Romeo rimane poco più che un sogno nel cassetto, visto che non va oltre qualche giro a Balocco e a Monza. Per la cronaca, Pino D’Agostino avrà una sorta di “rivincita” qualche anno dopo, quando è tra i responsabili del reparto motori della Scuderia Ferrari di F1, che nel 1996 - con l’arrivo di Schumacher - abbandona il V12 per il V10.

Fotogallery: Alfa Romeo 164 ProCar, un sogno rimasto nel cassetto