All'inizio degli anni Ottanta, quando ancora l'elettronica non si era impadronita delle automobili, si iniziavano a fare i primi esperimenti su come diminuire i consumi quando i motori non erano sollecitati. Fiat aveva inventato lo Start/Stop già nel 1983, con risultati egregi ma non apprezzati dagli automobilisti dell'epoca né capiti dai concessionari e dagli addetti ai lavori. Più o meno negli stessi anni, in Alfa Romeo (che allora non faceva ancora parte del Gruppo Fiat) si lavorava a un altro dispositivo che avrebbe poi trovato una certa diffusione una quindicina di anni dopo: la disattivazione dei cilindri. A partire dal 1981, infatti, sulla Alfetta 2.0, un'auto che all'epoca rappresentava il massimo della sportività applicato a una berlina, iniziò la sperimentazione del CEM, il Controllo Elettronico del Motore studiato insieme all'Università di Genova sin dal 1976.


Meno di mille esemplari


Tra il 1981 e il 1983 una decina di Alfetta CEM vennero date in uso ad altrettanti tassisti milanesi, per monitorarne le prestazioni nell'utilizzo reale. Dopodiché, nel 1983 iniziò la produzione in serie, che terminò poi con 994 esemplari realizzati, tutti venduti a clienti “selezionati”. In questa particolare Alfetta il 2.0 4 cilindri era in grado di funzionare con soli due cilindri, disattivando gli altri due quando la potenza richiesta dal guidatore era limitata. Le prime differenze tra l'Alfetta CEM e la Quadrifoglio Oro su cui era sviluppata si trovavano nel trip computer, che era sostituito da un quadro di controllo dedicato: c'erano gli interruttori per l'attivazione del sistema, le spie, compresa quella di alimentazione della centralina del CEM e l'autodiagnosi, da effettuarsi periodicamente.


Consumi tagliati fino al 25%


La centralina del CEM aveva un microprocessore con 6 kb di memoria, un dato che oggi fa sorridere, ma che allora consentiva di memorizzare due mappe di funzionamento; il motore di base era quello dell'Alfetta America, che era già dotato all'origine dell'iniezione elettronica Bosch Motronic. Le modifiche prevedevano una serie di sensori che monitoravano il funzionamento del motore e consentivano di spegnere una coppia di cilindri, i centrali oppure gli esterni a seconda delle condizioni. Lo spegnimento avveniva dal regime del minimo e fino ai 2.800 giri, da carico 0 e fino ai 40 gradi di apertura della farfalla. Tradotto nella pratica voleva dire poter arrivare a 100 km/h senza usare tutti e 4 i cilindri, a patto di andarci leggeri con il pedale del gas. L'erogazione era un po' ruvida e la sonorità risultava zoppa, ma in compenso i consumi scendevano dal 12 al 25 % a seconda del tipo di utilizzo. L'esperimento, tuttavia, non ebbe mai seguito.

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