Non si chiama "banalmente" GTI, R, RS o S, come quasi tutte le varianti sportive di auto normali, bensì JCW. Tre lettere strane solo per chi non è appassionato del marchio inglese. Per tutti gli altri, e per chi legge, significano una cosa ben precisa: John Cooper Works. Ovvero, l'azienda creata dal figlio del mitico John Cooper - quello che si è "inventato" l'auto da corsa a motore centrale posteriore - e che si occupa di trasformare le MINI più sportive in vere e proprie piccole bombe. Dal 2000, anno di fondazione della JCW, molto è cambiato. Innanzitutto, la società è ora al 100% nelle mani della BMW. Inoltre, ciò che inizialmente aveva il fascino dell'artigianalità british, dal 2008 è diventato "ordinario": se fino a quell'anno i kit di preparazione non si potevano ordinare contestualmente alla vettura, ma arrivavano (un po' in stile Abarth) in concessionaria per essere montati in un secondo momento, ora sono regolarmente a listino. Poco male: ciò che conta è la sostanza e io sono venuto a Firenze per toccarla con mano.
Stile e aerodinamica si incontrano
Per la MINI JCW, la "sala trucco" si chiama galleria del vento. In questa sede sono state definite le generose prese di raffreddamento (solo quella di sinistra, in realtà, visto che quella di destra è solo estetica) che prendono il posto occupato, sulle versioni più tranqulle, dalle luci fendinebbia. Sono specifici i longheroni sottoporta e i fascioni posteriori, così come lo spoiler posteriore griffato John Cooper Works. Sono soprattutto estetiche (ma anche funzionali) le modifiche che interessano i gruppi ottici a LED con indicatori di direzione bianchi; la cornice dei passaruota più marcata; la targhetta JCW su calandra del radiatore, passaruota e portellone. Completa il quadro l'impianto di scarico sportivo, il cui apporto è soprattutto sonoro. Il risultato, come sempre in Casa inglese, non travalica il confine dell'eleganza: l'auto è immediatamente riconoscibile come la più potente della gamma, ma non c'è un'angolazione dalla quale mi risulti eccessiva. Anzi.
Stile ed ergonomia racing
L'abitacolo, anche quello della meno potente della gamma, ha di base una connotazione sportiva: la seduta è a filo pavimento, il piantone di sterzo si regola (ampiamente) in altezza e profondità e la leva del cambio è facilmente raggiungibile. L'interno a tutto ciò aggiunge i sedili sportivi con poggiatesta integrati e autografati John Cooper Works, mentre il benvenuto a bordo lo danno i battitacco anch'essi personalizzati John Cooper Works. Inoltre, se si opta per il cambio automatico Steptronic a sei rapporti, il volante si arricchisce dei paddles per gestire le marce in modo manuale sequenziale. Altri dettagli sono le targhette sparse qua e là, la cornice della strumentazione centrale e la chiave dell'auto con design speciale; i pedali e il poggiapiede del guidatore in metallo; il cielo del tetto colore antracite e il Driving Excitement Pack di serie.
Motore generoso, go kart feeling... Missing
I 231 CV del 2.0 turbo, ma soprattutto i 320 Nm di coppia a soli 1.250 giri (e fino a 4.800) fanno sentire tutto il loro effetto sulla dinamica della MINI JCW: la spinta è praticamente elettrica e si va forte indipendentemente dai giri indicati dalla lancetta. Un pregio, ma anche un piccolo "limite": chi cerca e pretende un po' di cattiveria, dalla versione più spinta della gamma, rimarrà leggermente deluso. Ma non è certo questo l'aspetto meno "go kart feeling" della nuova, bensì il comportamento fra le curve. A un assetto rigido non corrisponde una risposta altrettanto aggressiva da parte degli pneumatici. Il motivo? La scelta di montare i Pirelli P7 Cinturato, alquanto strana; leggiamo dal sito della Pirelli la descrizione: "Una combinazione perfetta tra bassa resistenza al rotolamento, comfort plastico ed acustico, buona resa chilometrica e prestazioni in frenata e maneggevolezza". La maneggevolezza, come si può vedere, viene messa all'ultimo posto. Non a caso, sempre dal sito dell'azienda italiana, se si effettua la ricerca per tipologia di caratteristiche desiderate, quando si seleziona "Sport" il P7 sparisce e rimane la gamma PZero... Insomma, il risultato è che la macchina inizia a sottosterzare molto presto, sia in inserimento di curva sia in uscita, con il (simil) differenziale autobloccante elettronico che è costretto agli straordinari: la pinza freno della ruota anteriore interna ha un bel da fare per contenere i pattinamenti. Peccato, perché il bilanciamento della vettura non sembra male: quando si rilascia il gas c'è un piacevole allargamento di traiettoria da parte del posteriore - senza mettere ansia - che prometterebbe bene. Quanto allo sterzo, è abbastanza diretto ma non il top quanto a feeling (anche qui, però, con altre gomme la musica potrebbe cambiare parecchio), mentre il cambio automatico - l'unico disponibile per il test drive - è rapido in salita, un po' meno in scalata. Il comfort? Come detto, l'assetto è rigido, ma lo smorzamento delle vibrazioni è nettamente migliorato rispetto al modello vecchio.
Il prezzo salato dell'esclusività
31.200 euro sono tanti, per una MINI. Inutile girarci attorno. Per quanto esclusivo e premium possa essere l'oggetto, si tratta pur sempre di uno sfizio su quattro ruote, che i più giovani difficilmente possono permettersi - a meno che non provveda papà - e nel quale i meno giovani potrebbero fare fatica a vedersi. C'è poi la piccolissima fetta di pubblico che bada poco all'immagine e si interessa solo alla meccanica, alle prestazioni e alla guidabilità. Anche questa nicchia di pubblico potrebbe non trovare piena soddisfazione alle proprie esigenze. Perché? Un motivo su tutti: l'assenza del differenziale autobloccante meccanico. Detto questo, se invece la passione è per le personalizzazioni, è difficile trovare qualcosa meglio. Il listino è praticamente un pozzo senza fondo di tinte, abbinamenti (ellissi delle porte, elementi strutturali, anelli dei fari...), tessuti, badge, cerchi e chi più ne ha più ne metta, che (portafoglio permettendo) consentono di ritagliarsi la propria John Cooper Works praticamente in esemplare unico.