La storia della Mini Clubman comincia nel 1969. E non è la storia che verrebbe naturale pensare: inizialmente, infatti, con Clubman non si intende la variante allungata e con doppia sponda posteriore, bensì la specifica versione con muso allungato e squadrato, disponibile sia con carrozzeria normale sia station wagon. Delle due Clubman, però, proprio la più spaziosa è quella maggiormente apprezzata, visto che il muso squadrato si concilia meglio con la coda tronca e la fiancata lunga, piuttosto che con le classiche rotondità della vetturetta di Alec Issigonis. Non sappiamo quanto il marketing di BMW fosse consapevole di ciò, sta di fatto che quando nel 2007 decide di allargare la famiglia della "sua" MINI, ovvero quella (ri)nata nel 2001 e riprogettata nel 2006, sceglie proprio il nome Clubman. Il successo, a dir la verità, non è enorme, almeno in Italia: la versione classica e ancor di più la Countryman soddisfano maggiormente le esigenze del pubblico, ma ciò non fa perdere d'animo il management BMW, che nei mesi scorsi ha svelato al mondo la seconda generazione di Clubman "tedesca".

La vera antenata si chiama Morris Mini Traveller/Austin Mini Countryman

Considerare la Clubman del 1969 la "nonna" dell'attuale è dunque un errore concettuale. Più corretto è stabilire questo rapporto di parentela a quattro ruote con la Traveller/Countryman (che differiscono tra loro solo per la forma della mascherina, oltre ovviamente per lo stabilimento dal quale escono) del 1960; anche l'uso del nome Countryman che è stato fatto da BMW, dunque, è in un certo senso improprio. Alla versione station wagon della Mini, Alec Issigonis e il suo team lavorano già pochi mesi dopo la presentazione della Mini normale del 1959. Obiettivo: incontrare i gusti delle signore bene a cui la Mini normale, per lo svolgimento delle commissioni quotidiane, va stretta, ma che non vogliono rinunciare ad essere chic anche quando fanno la spesa. Le portiere rimangono due, cambiano invece il passo (che si allunga da 2,038 a 2,1 metri), la lunghezza totale (da 3,05 a 3,3 metri) e la capacità del bagagliaio: quanto basta per farne un'auto molto più funzionale.

Dal serbatoio nell'abitacolo alla connettività a 360°

Nelle primissime Traveller/Countryman, sulla sinistra del bagagliaio non si può non notare un grosso "scatolone" rivestito con la stessa moquette del resto dell'abitacolo. Di cosa si tratta? Del serbatoio. Sì, avete letto bene: il serbatoio era interno all'abitacolo. Una soluzione fin troppo spartana anche per gli Anni Sessanta e che infatti viene abbandonata nel giro di poco tempo: già un anno dopo il lancio della vettura, viene spostato all'esterno, nella zona posteriore della vettura sotto il pianale. Se poi si guarda alla Clubman che sta per debuttare sul mercato i punti di contatto con la sua antenata non vanno oltre il numero delle ruote e la tipologia di accesso al bagagliaio. Per il resto, la nuova "station wagon" Mini è un concentrato della migliore tecnologia BMW, sia che si parli di motori/cambi/telaio, sia di elettronica e connettività.

Quando l'aletta parasole era un lusso

Il primo restyling importante è del 1964: vengono aggiunte le alette parasole, la chiave per l'avviamento del motore e la spia dell'olio, mentre il tachimetro passa da circolare con sfondo bianco a ovale con sfondo nero, gli specchietti retrovisori diventano di serie e il cambio viene migliorato. A proposito di cambio, nel 1965 arriva quello automatico. Altro aggiornamento importante è quello del 1967, quando viene presentata la Traveller/Countyrman di seconda generazione: alle ovvie modifiche estetiche si aggiungono il motore portato a 998 cc e i rapporti del cambio dotati di sincronizzatori (nel 1968). Nel 1969 la Austin cessa la produzione della Countyrman, dopo una produzione totale di circa 108.000 unità; un mese dopo anche la Morris mette fine alla storia della Traveller, con all'attivo circa 99.000 esemplari prodotti.

1969, tempo di Clubman

Le signore bene di cui sopra non rimangono però orfane della Mini "allungata": a sostituire Countryman e Traveller arriva infatti la Clubman Estate. Come già scritto, Clubman indica una versione specifica nell'estetica, ma anche nella meccanica: a spingerla c'è infatti il più potente dei motori della gamma Mini (Cooper e Cooper S a parte, ovvio), ovvero quello da 998 cc di cilindrata e 44 CV di potenza. Successive evoluzioni della Clubman Estate interessano l'estetica, con la sparizione dei listelli in finto legno dalla fiancata, sostituiti da più economici adesivi bicolore e la calandra che passa da tre a una feritoia. Nel 1982, invece, arriva la parola fine: British Leyland, allora proprietaria del marchio, decide di ripensare la gamma e di concentrarsi sulla piccola. Sembra un addio, invece è un arrivederci: la MINI "station wagon" rivive parecchi anni dopo grazie alla BMW.

2007, Clubman l'asimmetrica

Forse chi non ci è mai salito non ha nemmeno fatto caso al vero e proprio vezzo della MINI Clubman. Non stiamo parlando della doppia sponda posteriore - quella è un doveroso tributo alla storia - bensì della Clubdoor, ovvero della piccola portiera posteriore che si apre controvento e solo una volta che è stata "sbloccata" dall'apertura di quella anteriore destra. Sì perché la prima Clubman di BMW aveva una sola portiera posteriore, sul lato destro appunto. Altre particolarità erano la coda tronca, con due fasce in materiale plastico che la incorniciavano e i due tergiscristalli, uno per ogni "lunottino" delle spondine. Nonostante una funzionalità decisamente superiore rispetto a quella della Hatchback (la 3 porte), il successo non è stato grandissimo. E non perché il marchio inglese è amato solo da sportivi radicali: la crossover Countryman, per esempio, è la MINI più venduta dal momento in cui è entrata in commercio. Si tratta più che altro di dare la giusta forma ai contenuti. In BMW ci riprovano ora con la "loro" Clubman, che vira verso la razionalità, come dimostrano le due portiere posteriori, ben più pratiche.

Fotogallery: MINI Clubman, quando trasportare fa chic