Arriva il freddo e puntuali scattano i blocchi del traffico. Perché? Quali sono i parametri in base ai quali vengono prese queste decisioni, che riguardano principalmente, ma non solo, le grandi città come Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli? Ma soprattutto: perché tutto questo succede sempre solo quando inizia il freddo? La questione è nota a tutti: al fine di ridurre la concentrazione di sostanze inquinanti nell’aria, le amministrazioni locali impediscono la circolazione ai veicoli più obsoleti (veicoli omologati Euro 0, Euro 1, Euro 2; a Roma persino i diesel Euro 5…), con modalità e tempistiche variabili (da ottobre a marzo, oppure solo dopo che sono stati riscontrati valori di inquinamento troppo elevati per un certo numero di giorni). Insomma, l’Italia è una, ma le politiche ambientali sono moltissime: non potrebbe che essere così, del resto, se si pensa alle differenze climatiche, di traffico e di densità abitativa che ci sono tra il centro di Roma, Milano o Napoli e zone di campagna, di montagna e mare in cui l’automobile è l’eccezione, o quasi (senza contare le variabili meteorologiche: la Pianura Padana, per esempio, circondata da catene montuose su tre lati, è sfavorita perché la circolazione dell’aria è ostacolata fisicamente). Detto questo, vediamo sulla base di quali elementi le amministrazioni decidono blocchi e/o limitazioni alla circolazione (qui cosa rischia chi circola comunque).


Cos’è nocivo per la salute?


Premessa: le emissioni inquinanti si traducono in sostanze nocive per la salute, presenti in concentrazioni atmosferiche più o meno elevate. Spetta al legislatore fornire dei criteri di accettabilità, stabilire cioè delle soglie di concentrazione oltre le quali il rischio di danni per la salute è troppo elevato. Gli inquinanti sono moltissimi, ma quelli che vengono presi in considerazione, sulla base della Direttiva 2008/50/CE del Parlamento Europeo e della Direttiva 21/05/08 del Consiglio Europeo sono i seguenti: biossido di zolfo, biossido di azoto, PM10, PM2,5, ozono, ossido di carbonio, benzene. Stabilito cosa fa male, bisogna capire il “quanto”: anche in questo caso, è l’Europa che stabilisce le soglie e che controlla l’effettivo rispetto dei limiti da parte degli Stati membri.


Chi deve controllare e quali sanzioni può applicare


Qui le cose iniziano a complicarsi. Parecchio. In Italia, per esempio, sono le A.R.P.A. (Agenzia Regionale per la protezione ambientale) a rilevare la qualità dell’aria e a fornire i risultati alle Regioni, le quali poi - insieme ai vari Comuni - decidono eventuali contromisure. Facile? Certo che no, perché se sono chiarissimi i limiti da rispettare, molto meno facile è farli rispettare. Prendiamo il caso di un inquinante come il PM10 (una delle famose e temibilissime polveri sottili): la direttiva europea concede 35 giorni all’anno di “sforamento” dei limiti per singola area geografica; ci sono città come Milano e Roma che vanno costantemente oltre i 100 giorni. Sanzioni? Nessuna. Né per le città, né per lo Stato. Almeno per ora. Il motivo sta nella complessità delle procedure europee. Leggete questo stralcio dell’Audizione del Ministro dell’Ambiente del Governo Renzi, Gian Luca Galletti, sullo stato e sulle conseguenze delle procedure di infrazione dell’UE in materia ambientale del 29 febbraio 2016: “A partire dal 2008, qualora rilevi una possibile infrazione, la Commissione lavora in collaborazione con gli Stati membri per risolvere i problemi in maniera efficiente e in conformità del diritto dell'Unione, attraverso un processo di dialogo strutturato, con un calendario ben definito, denominato EU Pilot. Qualora tale dialogo non dia esito positivo, la Commissione può decidere di avviare una procedura d'infrazione formale a norma dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)”. Tradotto: non solo non c’è certezza della pena, ma la pena nemmeno si conosce. Il risultato è quello che vediamo: provvedimenti presi in “emergenza”, scarsa pianificazione, sforamento di ogni soglia di inquinamento.


Facile prendersela con gli automobilisti


Se l’aria è inquinata, è giusto fermare le automobili: questo ragionamento non farebbe una piega, se i provvedimenti fossero efficaci (su questo tema ci torneremo su con un articolo in uscita nei prossimi giorni) e se le automobili fossero davvero le responsabili numero uno della concentrazione di inquinanti nell’aria che respiriamo. Attenzione: i motori a combustione interna, in quanto tali, inquinano e questo non lo mette in dubbio nessuno. Detto questo, come si spiega il fatto che i livelli “di allarme” si toccano sempre e solo in inverno? Nel 2015, a Milano (fonte: ARPA Lombardia), i picchi di PM10 (prendiamo ancora questo come valore di riferimento perché è quello più frequentemente citato) si sono toccati a dicembre, gennaio e febbraio: fino a circa 70 microgrammi al metro cubo. Calano a marzo e a novembre - intorno ai 50 microgrammi - quando le temperature sono mediamente meno rigide. Sono circa la metà (rispetto ai tre mesi più freddi) ad aprile ed ottobre. Si registrano i livello minimi di PM10 (intorno ai 25 microgrammi) a maggio, giugno, luglio, agosto e settembre. Sarà un caso se i riscaldamenti domestici vengono accesi, per legge, il 15 ottobre, per poi essere spenti il 15 aprile? No, non può essere un caso. Studi che indichino con chiarezza quanta parte delle emissioni inquinanti è emessa dal traffico stradale e quanta dai riscaldamenti domestici esistono, ma non vengono utilizzati da chi deve decidere. Una cosa però è certa: bloccare il traffico è più facile che pianificare una sostituzione diffusa delle caldaie, il cui “censimento” nemmeno è disponibile, mentre è possibile sapere con esattezza quante auto Euro 0, Euro 1, etc., sono ancora circolanti.