Nell'immaginario, non proprio collettivo ma comunque di molti, le Case giapponesi sono sempre legate a vetture piccole con piccoli motori, una tradizione che in qualche modo è stata conservata anche su alcuni modelli sportivi.

Uno dei più particolari, nato in quel periodo magico che sono stati gli Anni '90, è la Mazda MX-3, una coupé compatta a 4 posti dalle forme semplici, ma con una tecnica raffinatissima e uno dei più insoliti V6 che si siano mai visti.

Con il senno di poi, vista la fama del costruttore già consolidata in quegli anni, aspettarsi qualcosa di stravagante sotto il cofano doveva apparire tutto sommato abbastanza scontato: soprattutto nel 1991, quando Mazda ha conquistato la ribalta mondiale con il motore Wankel.

Lo offriva già da oltre vent'anni su veri modelli sportivi, ma divenne celebre grazie alla vittoria alla 24h di Le Mans della 787B, prima e unica Sport a vincere la leggendaria gara di endurance con un "rotativo".

Una base dedicata a lei

La MX-3, arrivata nel settembre di quello stesso anno, non utilizzava però il celebre motore senza bielle, anzi, condivideva ben poco con il resto della gamma. A dispetto della sigla, questa coupé non aveva nulla in comune con la MX-5 né con la meno nota RX-3, nasceva invece su un pianale specifico (EC) non condiviso direttamente con nessun altro modello, sebbene in parte derivato da quello della compatta 323.

Mazda MX-3

La fisionomia era quella di una coupé 2+2 dalle forme morbide, caratterizzata da elementi alla moda, come il grande portellone panoramico, fari "a mandorla" e un aspetto complessivamente gradevole anche se tutto sommato ordinario, come gran parte delle giapponesi dell'epoca tra cui la Toyota Paseo.

Mazda MX-3

La sorpresa sotto il cofano

I suoi punti di forza erano sottopelle: al lancio offriva la possibilità di scegliere tra due motori benzina, un modesto 1.6 16V monoalbero da 88 CV e, appunto, un V6 di 60° da appena 1,8 litri che, grazie al sistema di aspirazione a geometria variabile, saliva fino a 7.000 giri (il limitatore era fissato a 7.800), toccando la massima potenza, ben 130 CV, a 6.500 e spingendo l'auto a 202 km/h con uno scatto da 0 a 100 km/h in soli 8,5 secondi, per i tempi quasi numeri da piccola supercar.

Mazda MX-3

Questo motore, appartenente alla serie K, era nato principalmente per aggirare le regole sul rapporto tra cilindrata e dimensioni esterne del fisco giapponese, che avrebbe penalizzato una cubatura maggiore su un'auto di appena 4,2 metri, e allo stesso tempo offrire ai clienti più esigenti (non soltanto sul mercato casalingo a quel punto) un propulsore raffinato e potente.

Altro elemento degno di nota era il telaio, in particolare il retrotreno a doppio trapezio, che Mazda aveva e avrebbe usato su diversi altri modelli e che riusciva a dare all'auto un effetto autosterzante che ne rendeva agile e reattiva la guida, senza ricorrere a sistemi più sofisticati e costosi.

Mazda MX-3

La meteora

Pur equilibrata e tecnicamente valida, la MX-3 risultava però un po' cara nella versione top di gamma, tanto che, quando nel '94 il motore 1.6 venne sostituito con un più grintoso bialbero da 109 CV (giusta via di mezzo tra prestazioni e prezzo), le preferenze si orientarono su quello, lasciando la scelta del sorprendente a impegnativo V6 ai veri cultori. 

E' così che oggi, anche in Italia, dove il modello era passato relativamente inosservato, i pochi esemplari rintracciabili sul mercato dell'usato siano proprio dei V6, in qualche caso con percorrenze non eccessive, che un appassionato potrebbe portarsi a casa con meno di 5.000 euro.

La carriera della MX-3 finì nel 1998, quando la Casa puntò sulla MX-5, il cui successo era all'epoca in costante crescita. Si scelse quindi di non rimpiazzare la piccola coupé dal cuore generoso.

Fotogallery: Mazda MX-3 1991-1998