Chi conosce la storia di Lamborghini sa bene che la prima metà degli anni Novanta è stato un periodo piuttosto turbolento per l'azienda. La Casa del Toro nel 1994 venne ceduta da Chrysler per 40 milioni di dollari, cambiando proprietà per la quarta volta. Questa volta la Casa di Sant'Agata Bolognese finì nelle mani della Megatech, una divisione del gruppo indonesiano Sedtco Ltd. L'inesperienza dei nuovi proprietari e la loro scarsa propensione ad investire in nuovi modelli e tecnologie complicò ulteriormente la già complessa situazione della Lamborghini, che in quel momento proponeva solamente la Diablo e che, proprio nel 1994, aveva venduto appena 248 auto. Proprio in quell'anno, dalla ItalDesign di Giugiaro venne la proposta di una sportiva "accessibile", la Calà, che però fu rifiutata dall'allora consiglio d'amministrazione.


Dopo la Jalpa, prima della Gallardo


Al contrario della "sorella maggiore" Diablo (che aveva un V12), la Calà di Giugiaro, lunga meno di 4,4 metri, era equipaggiata con un dieci cilindri da 400 CV montato in posizione posteriore-centrale. Il cambio era un manuale a sei marce e la trazione,ovviamente, sulle ruote posteriori. Lo chassis era stato realizzato completamente d'alluminio mentre i pannelli della carrozzeria erano di fibra di carbonio; questo, grazie al peso di 1300 kg, garantiva alla Calà prestazioni esaltanti, con uno 0-100 in appena 5 secondi e una velocità massima di 290 km/h. Il prototipo realizzato era perfettamente marciante (e questo dimostra quanto la Calà fosse prossima alla produzione in serie) e chi lo ha potuto provare giura che il lavoro fatto sull'abbinata telaio-propulsore-cambio era degno di una vera Lamborghini, al contrario della sua progenitrice, la Jalpa, che non aveva mai convinto né la stampa né gli appassionati del Toro.


Pensata per farsi notare


Non soltanto le prestazioni ma anche la cura costruttiva e la qualità della Jalpa avevano lasciato l'amaro in bocca a molti. Da questo punto di vista, la Calà era "d'un altro pianeta": interni avvolgenti ed ergonomici, materiali di ottimo pregio e un'attenzione al design di ogni piccolo dettaglio. Le forme interne, morbide e sinuose, riprendevano quelle degli esterni, lontane anni luce dalle linee squadrate anni '80 della Jalpa. I rivestimenti dei sedili sportivi, realizzati da Recaro, erano in pelle bordeaux miste a pelle scamosciata e, sorprendente per un'auto di questa tipologia, dietro di loro c'era anche posto per due bambini. Sicuramente di grande impatto il design esterno della Calà, veramente di rottura rispetto alle altre auto della Casa del Toro: frontale basso ma arrotondato, due fari a goccia dall'aria simpatica e un posteriore su cui troneggiava uno spoiler che di certo non passava inosservato. Per non parlare poi del tetto con la sezione centrale removibile. Del resto, passare inosservata era l'unica cosa che questa Lamborghini voleva: il suo nome, "Calà", è un'esclamazione piemontese che significa "quella là!". Peccato che in pochi, troppo pochi, l'hanno potuta ammirare.

Fotogallery: Lamborghini Calà, la Gallardo mai nata