L’arrivo del nuovo millennio (dal 2000 in avanti, per capirci) è un momento magico per le vetture a trazione integrale: Mercedes ML (oggi GLE) e BMW X5 soltanto un paio di anni prima hanno inaugurato il filone dei SUV, destinato ad esplodere presto, dimostrando che la via di mezzo tra auto e fuoristrada, prima categorie distanti anni luce, è possibile e piace.

Per Audi le cose vanno un po’ diversamente. Prima di mettere in cantiere una sport utility vera e propria, che arriverà soltanto nel 2005 con la Q7, la Casa di Ingolstadt ha messo gli occhi su un’altra nicchia interessante e promettente, quella delle “cross country”. Che alla soglia del 2000, appunto, sono appena due, la già “veterana” Subaru Outback (uscita nel ’94 e rinnovata nel ’98) e la recente Volvo V70 XC (poi XC70).

Si rivolgono ad un pubblico che ama le auto spaziose ma di buone prestazioni rese in grado di affrontare strade sterrate con qualcosa in più della sola trazione integrale, ma senza perdere punti in fatto di dinamica. Wagon rialzate, comode e possibilmente veloci. Un gioco da ragazzi.

La novità dell’assetto variabile

A Ingolstadt, casa Audi, a fine anni Novanta le quattro ruote motrici sono un fiore all’occhiello già da quasi vent’anni, ossia da quando le coupé Quattro hanno iniziato a furoreggiare nei rally portando la filosofia del 4x4 “prestazionale” anche su strada.

In effetti, se guardiamo i modelli alto di gamma, Audi è l’unico marchio che già sul finire degli Anni ’90 offre la trazione integrale su oltre la metà delle versioni a listino. Logico, quindi, prendere come base la wagon più grande ed elegante che c’è, la A6 Avant serie “C5” lanciata nel ‘98 e derivarne una variante tuttoterreno capace di porsi un gradino sopra l’esigua concorrenza.

Una battaglia che non si gioca soltanto sul piano della potenza, ma del delicato equilibrio tra le prestazioni offroad e quelle stradali, che vede nelle cross country un discreto compromesso.

Audi però il compromesso non lo vuole, punta a offrire una vettura capace di dare il meglio sia su strada sia fuori.

Per questo, la A6 Allroad Quattro, presentata nel ’99 e lanciata l’anno seguente,  è la prima cross country ad offrire di serie sospensioni pneumatiche ad assetto variabile, che regolano l’altezza da terra del corpo vettura su quattro livelli da un minimo di 14,2 a un massimo di 20,8 cm. I livelli possono essere selezionati dal conducente tramite un comando in plancia ma sono controllati anche da un programma automatico che provvede, ad esempio, ad abbassare l’auto man mano che la velocità aumenta.

Diesel e ridotte

Le sospensioni pneumatiche non sono l’unico elemento distintivo che la A6 Allroad Quattro offre rispetto alle concorrenti. Al lancio, o poco dopo, offre infatti per la prima volta anche un motore Diesel, il miglior 2.5 V6 TDI disponibile nella gamma A6, con potenza di 180 CV, che affianca il benzina 2.7 sempre V6 e sempre Turbo da 250 CV.

Audi allroad

Le concorrenti, rivolte principalmente al mercato americano, hanno in gamma soltanto motoria benzina. L’altra dotazione distintiva della A6 Allroad è il riduttore “Low Range” offerto in opzione con il cambio manuale (l’automatico Tiptronic con convertitore di coppia idraulico non ne ha bisogno).

Il riduttore lo offre anche Subaru sulle Outback con cambio manuale, ma quello di Audi è un riduttore “vero”, anche se dal rapporto non eccessivamente “corto” (1,54), che va inserito a vettura ferma mentre la giapponese ha un comando a leva che si può azionare anche in marcia.

Livello superiore

Dunque, la A6 Allroad Quattro si posiziona un gradino sopra la concorrenza e spinge per rimanerci: il suo listino, che parte da poco meno di 50mila euro, inizia dove le rivali raggiungono il top e negli anni successivi al lancio alza ancora l’asticella offrendo anche un 4.2 V8 a benzina da 300 CV, mentre tra i Diesel viene offerta una variante del 2.5 V6 depotenziata a 163 CV.

Audi allroad

Grazie all’assetto regolabile, Le performance stradali sono notevoli. Fuoristrada, malgrado gli angoli non siano niente male, la struttura “automobilistica” e il passo lungo (2,76 metri, per una lunghezza totale di 4,81) non le consentono comunque di misurarsi con i fuoristrada “veri” sui terreni davvero difficili.

In compenso regala soddisfazioni sullo sterrato veloce e sui fondi a bassa aderenza grazie alla trazione integrale Quattro assistita da controlli elettronici.

Capofamiglia

L’esperimento piace, anche se per i primi anni la A6 rimane l’unica Allroad a listino, confermata che sulla successiva generazione che debutta nel 2004, un paio d’anni prima che la Q7 inauguri la famiglia dei Suv veri e propri.

Audi allroad

La serie “C6” tuttavia si imborghesisce un po’, mantenendo forme e profili più simili a quelli dei modelli” bassi” e riducendo le parti di carrozzeria “al naturale” che a richiesta possono essere interamente verniciate mentre una calandra single frame a barre verticali la distingue dal resto della gamma A6.

L’evoluzione inoltre abbandona il riduttore perché anche i cambi manuali lasciano progressivamente il posto ai Tiptronic, richiesti dalla stragrande maggioranza della clientela e di serie per oltre metà dei motori che continuano a crescere in potenza.

Audi allroad

Nel 2009, finalmente, si raddoppia con la A4 Allroad: meno estrema, priva di sospensioni pneumatiche, la sorella minore si accontenta di un assetto rialzato di 20 mm. La sua arma è un bilanciamento particolarmente ricercato ottenuto da una piattaforma, condivisa con la fresca Q5, che ha riposizionato gli organi meccanici spostando il differenziale centrale Torsen davanti alla frizione. 

Sviluppi mancati

Man mano che cresce la famiglia “Q“, la voglia di Allroad non diminuisce: le Allroad Quattro sono oggi parte integrante dell’offerta di A4 e A6 e negli ultimi anni ai modelli di serie si sono affiancate numerose concept che suggeriscono l’allargamento della famiglia su altre linee di modelli.

Audi allroad

Tra queste, la suggestiva “Allroad Shooting Brake” del 2014 (foto sopra) seguita a breve distanza dalla “TT Offroad Concept”, che ripropongono la suggestiva ipotesi di applicare il concetto ad una sportiva “pura” come la TT. Un esperimento, infondo, già tentato nel 2000 con la “Steppenwolf” ma (purtroppo) ad oggi ancora senza seguito.

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