L'annunciato stop ai motori a benzina e diesel fissato dalla Commissione europea per il 2035 suscita paure tra gli automobilisti e reazioni negative da parte di alcuni Costruttori e governi che chiedono di "salvare" le auto endotermiche, magari anche con gli e-fuel, detti anche carburanti sintetici.

La decisione è così drastica e imminente (12 anni sono pochissimi nell'evoluzione dell'auto) che alcuni propongono le più svariate soluzioni alternative per azzerare le emissioni di CO2 dei veicoli, arrivando anche a confondere gli e-fuel con i biocarburanti.

E-fuel e biocarburanti, una differenza sostanziale

Prima di parlare nello specifico dei biocarburanti vogliamo riassumere qui le differenze che li distinguono dai carburanti sintetici e in che modo puntano entrambi ad azzerare o ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera:

  • E-fuel
    Gli e-fuel vengono prodotti combinando chimicamente idrogeno e anidride carbonica. L'idrogeno viene ottenuto per elettrolisi dall'acqua e per farlo serve molta energia elettrica e molta acqua. Affinché i carburanti sintetici siano davvero a zero emissioni di CO2 occorre che questa elettricità venga da fonti di energia rinnovabili come quella solare, eolica, geotermica, idrica o dalle maree. Qui un approfondimento sugli e-fuel.
e-fuel, il processo produttivo

e-fuel, il processo produttivo

  • Biocarburanti
    I biocarburanti, come il bioetanolo e il biodiesel vengono prodotti dalle biomasse, cioè dagli scarti di materia organica generata dalle piante e dagli animali. Per la produzione delle biomasse vengono utilizzati gli scarti dell’industria agroalimentare, i rifiuti organici urbani, le ramaglie verdi di attività agricole e forestali, i residui della legna da ardere e altro ancora. I biocarburanti sono "virtualmente" carbon neutral perché, impiegati per alimentare i motori termici, sviluppano l'anidride carbonica già presente nella biomassa di partenza, a sua volta captata dall’atmosfera e fissata nella materia organica dalle piante attraverso la fotosintesi.
La produzione di biodiesel

La produzione di biodiesel

Cosa sono i biocarburanti e come vengono prodotti

I biocarburanti si dividono principalmente in due prodotti: il bioetanolo e il biodiesel ma ci sono anche il metanolo e il biobutanolo. Il bioetanolo viene prodotto tramite un processo di fermentazione delle biomasse in cui i microrganismi (batteri) metabolizzano gli zuccheri vegetali e producono etanolo. Questo tipo di carburante viene già utilizzato in basse percentuali (5-10%) nell'attuale benzina in commercio.

I carburanti sintetici e-fuels

Il biodiesel, invece, è un carburante che viene prodotto tramite un processo chimico che prende il nome di transesterificazione. Il grasso animale, il grasso da cucina riciclato o l’olio vegetale vengono fatti reagire con un alcol a catena corta (di solito metanolo) alla presenza di un catalizzatore che ne accelera l’azione. Il risultato è un biodiesel grezzo che poi viene nuovamente raffinato per raggiungere il prodotto finale.

I progetti delle Case automobilistiche

Se i primi utilizzi degli e-fuels (carburanti sintetici) nel settore auto sono riconducibili a pochi decenni fa, i biocarburanti fanno parte dell’industria automobilistica dal lontano 1898 quando Rudolf Diesel, al Salone di Parigi, presentò un motore alimentato a biodiesel. 

Porsche 718 Cayman GT4 RS powered by renewable fuel

Ai giorni nostri sono comunque tante le Case automobilistiche che stanno portando avanti progetti più o meno ampi per sviluppare questa tecnologia. Porsche sta utilizzando nel campionato europeo su ghiaccio una 718 Cayman RS a biocarburante, Bentley ha fatto percorrere un viaggio di 700 km in Islanda ad una Flying Spur alimentata con un carburante prodotto dalle biomasse mentre Volkswagen rimane sempre al primo posto nello sviluppo di motori che possono essere alimentati a biometano.

A questo proposito, la Casa tedesca ha avviato nel 2019 un progetto con Iren, fornitore di energia, e ART-ER, società regionale Emilia Romagna per la crescita e l'innovazione per la produzione di biometano da fanghi per alimentare una flotta di 3 Volkswagen Polo TGI. 

I biocarburanti di Eni

In Italia è l'Eni a guidare la ricerca sulla produzione dei biocarburanti avanzati o di seconda generazione, in particolare con il progetto Waste to Fuel che ottiene biocarburanti dagli scarti alimentari attraverso una tecnologia che ricava bio-olio dalla frazione organica dei rifiuti domestici.

Il sistema, progettato, sviluppato e brevettato nel Centro Ricerche Eni di Novara e portato avanti dal 2018 in un impianto pilota realizzato nell'area della bioraffineria di Gela (CL) e gestito da Eni Rewind. Eni delinea così il contesto in cui sviluppare la produzione dei suoi biocarburanti:

"Ogni anno in Italia vengono raccolte circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti. Di queste, 18 milioni di tonnellate sono correttamente differenziate e, all’interno di queste, circa 7 milioni di tonnellate sono di FORSU (frazione organica dei rifiuti solidi urbani). Promuovendo una maggiore e più corretta differenziazione degli scarti di cucina si potrebbero raggiungere 10 milioni di tonnellate di FORSU ogni anno. Questa, attualmente, viene utilizzata soprattutto per produrre compost per l’agricoltura e biogas.

La bioraffineria di Gela

La bioraffineria ENI di Gela

Abbinando una buona raccolta differenziata a una diffusione degli impianti Waste to Fuel, su tutto il territorio nazionale, potremmo idealmente ricavare ogni anno circa un miliardo di litri di bio olio, equivalente a circa 6 milioni di barili di greggio all’anno. Sarebbe come scoprire un piccolo giacimento senza, però, dover perforare pozzi e senza, soprattutto, emettere ulteriore CO2 nell'ambiente. Con una sola azione potremmo dare un grande contributo alla sicurezza energetica del Paese e ridurre, al tempo stesso, la quantità di rifiuti e le emissioni di gas serra."

Un'altra tecnologia brevettata di Eni è il sistema Ecofining che trasforma materie prime di origine biologica in biocarburanti di alta qualità, in particolare HVO (Hydrotreated Vegetable Oil). Il processo consente di trattare grassi animali e vegetali di scarto provenienti dall’industria alimentare e oli da cucina usati. Al momento sono già state convertite due raffinerie convenzionali in bioraffinerie: quella di Venezia, primo esempio al mondo, e quella di Gela. Come sottolinea Eni, a differenza dei biocarburanti tradizionali che derivano da colture in competizione con l’uso alimentare, quelli avanzati trattano scarti o colture che non sottraggono terreno all’agricoltura, come paglia, glicerina grezza, gusci, sfalci agricoli e forestali e rifiuti organici della raccolta differenziata. 

Le critiche degli ambientalisti

Per offrire un quadro più completo sulla questione biocarburanti occorre infine riportare i dubbi e le critiche sollevate in particolare da Transport & Environment (T&E), l'organizzazione ambientalista che da tempo si oppone all'utilizzo sulle auto, anche degli e-fuel.

I biocarburanti

Impianto di produzione di biomasse per biocarburanti

Qui sotto i principali svantaggi dei biocarburanti indicati da T&E:

  • Oltre a creare tensione sul mercato, entrando in competizione con le colture per uso alimentare, i biocarburanti tradizionali, inoltre, possono rilasciare un quantitativo di gas serra fino a 3 volte superiore nel confronto con il diesel fossile.
  • I biocarburanti avanzati o prodotti a partire da rifiuti e residui sono in grado, in teoria, di ridurre le emissioni fino al 88% rispetto a un carburante fossile. Questi vettori dunque, non conseguono un obiettivo zero-emission.
  • Scontano la limitata disponibilità di quantitativi sostenibili delle materie prime da cui dipendono. Il loro impiego, di conseguenza, dovrebbe essere limitato ai comparti che non possono essere elettrificati facilmente.
  • Scarsa disponibilità di questi combustibili, una caratteristica che ne pregiudica un impiego significativo nella decarbonizzazione del settore auto.
    • Oggi l’uso in purezza di biocarburanti avanzati o da rifiuti e residui consentirebbe di alimentare appena il 5% del parco circolante italiano (1.9 milioni di auto), quota che potrebbe salire al massimo al 20% (6,9 milioni) nel 2030 se fossero confermate le stime di ENI, che conta di raggiungere una capacità di bioraffinazione annuale di 5 milioni di tonnellate di HVO (Hydrotreated Vegetable Oil) alla fine del decennio.
    • Con la stessa energia e a parità di chilometraggio si potrebbero alimentare già oggi – rispetto ai volumi di produzione attuali – 6.9 milioni di auto elettriche, per poi raggiungere quota 24 milioni, ovvero il 70% del circolante, nel 2030.
  • Durante la combustione nei motori endotermici producono livelli di emissione di particolato (PM) e ossidi di azoto (NOx) del tutto simili, se non addirittura superiori, a quelli associati alla benzina fossile.