Concluso il conflitto mondiale, l'Italia sceglie la Repubblica e si avvia rapidamente verso il miracolo economico spinta dalla manodopera a basso costo e dai nuovi mercati che si aprono dopo le politiche antartiche del periodo prebellico. A trainare l’economia sono l’industria dell’acciaio e della siderurgia, la scoperta di idrocarburi e metano in Val Padana e il fiorente settore del terziario. A contribuire all’ascesa verso il benessere è pure l’imprenditoria automobilistica che si rifonda dalle macerie presentando esemplari che entreranno nella storia dei motori. Uno di questi è l'Aurelia, primo modello Lancia con la denominazione dedicata alle antiche vie romane che segna un salto tecnologico rispetto all’Aprilia che sostituisce.

1950, NASCE LA BERLINA DEL FUTURO

Il progetto “B10” ha origine durante la Seconda Guerra Mondiale, quando per scampare alle bombe alcuni uffici di Lancia sono spostati da Torino nella più sicura Padova. Dove lavorano tecnici di valore, come il giovane Francesco De Virgilio e Vittorio Jano, ingegnere che un decennio più tardi sarà determinante per la realizzazione di un V6 storico, il “Dino”. E che durante il conflitto contribuisce alla nascita di un’altra unità con identica configurazione e altrettanto celebre, il primo 6 cilindri a V che equipaggia un modello di grande serie, l’Aurelia. Un’unità compatta e leggera che eroga 56 CV e che richiede poca manutenzione e fornisce elevata affidabilità. A destare interesse per la nuova berlina sono molte altre soluzioni tecniche adottate, come la trasmissione con frizione, cambio e differenziale realizzati in gruppo unico, le sospensioni a ruote indipendenti e la struttura portante della scocca. Ad attrarre è il pubblico al Salone di Torino del 1950 è, però, lo stile elegante contraddistinto dalla classica mascherina anteriore “a scudetto” e dalle linee arrotondate, particolarmente evidenti nel posteriore.

LE VITTORIE DELLA COUPE’

Con la berlina Giovanni “Gianni” Lancia, figlio di Vincenzo e patron del marchio dal 1947, immette sul mercato gli autotelai, siglati B50 e B51, con i quali carrozzieri del calibro di Allemano, Boneschi, Ghia, Vignale si dilettano a creare fuoriserie di indubbio fascino, come la Giardinetta con struttura il legno di Viotti o la coupé 5 posti di Balbo. A uscire direttamente dagli stabilimenti di Borgo San Paolo a Torino è la variante sportiva B20. Una coupé dalla linea filante ricca di fascino e dalle indubbie doti di maneggevolezza e tenuta di strada. Qualità che, insieme al motore da 2 litri da 75 CV che “spinge” il modello fino ai 160 km/h (più tardi arriverà anche il 2.5 da 118 CV e 185 km/h di velocità di punta), la rendono da subito protagonista nella gare di Turismo dove intraprende entusiasmanti duelli con le rivali Alfa Romeo 1900. Sfide dal quale spesso esce vincente ottenendo prestigiosi successi di categoria in competizioni di rilievo, come Mille Miglia, Targa Florio o Le Mans.

UNA SPIDER PER L’AMERICA

Le evoluzioni di berlina e coupé si succedono rapidamente, tanto che nel 1954 si è già alla quarta serie. Le vendite vanno bene e le vittorie sportive dilatano la fama del marchio nel mondo, ma le ambizioni di Gianni Lancia non hanno limiti. Mentre affida a Nino Rosani e Giò Ponti la progettazione del Grattacielo Lancia da edificare al centro della cittadella industriale, l’erede di Vincenzo prospetta la conquista di nuovi mercati. A dargli lo spunto è Max Hoffmann, importatore d’auto americano, che gli suggerisce la realizzazione di una variante scoperta dell’Aurelia per il mercato d’oltreoceano, sempre attratto da decapitabili e spider europee come dimostra il successo ottenuto dalle Jaguar XK 120. L’idea piace a Giovanni che commissiona lo studio di una versione spider all’atelier di Giovanni Battista Farina, detto Pinin.

SCOLPITA DALLE MANI DI BATTISTA

La commessa di Lancia crea subito entusiasmo all’interno della Società anonima Pinin Farina che pochi anni dopo assumerà la denominazione più celebre di Pininfarina. A lavorare al progetto sono in molti, da Aldo Brovarone a Francesco Salomone, da Adriano Rabboni a Luigi Chicco, da Giacomo Borgogno all’allora direttore del Centro Stile Franco Martinengo. A contribuire personalmente allo sviluppo del design è lo stesso Battista che, si narra, trascorre molto tempo a scolpire le linee a colpi di martello della futura Lancia. In poco tempo la pre-serie basata sulla serie VI della B20 è definita. E’ una spider dallo stile accattivante che ricorda la D24, trionfatrice della Carrera Panamericana del 1953 con al volante Juan Manuel Fangio. Bellissimo il frontale con fari tondi in cornici cromate, due grandi rostri a fungere da paraurti e al centro l’imponente “scudo” Lancia dal quale si sviluppa il cofano, basso, profilato e con ampia presa d’aria centrale che, più che raffreddare il motore, è un espediente stilistico per fare spazio per il filtro dell’aria. A caratterizzare la B24 Spider sono, però, alcuni particolari, come il parabrezza panoramico simile a quelli che equipaggiano gli eleganti fuoribordo Acquarama dei Cantieri Riva, molto in voga all’epoca. Una soluzione che costringe a rinunciare ai finestrini laterali sostituiti da pannelli in plexiglas con deflettore da applicare alla sommità delle portiere in caso di intemperie. Mancano pure le maniglie esterne, pare per la volontà di Battista di non alterare la linea. A tal fine è realizzata una capotte con struttura tubolare che scompare completamente nel vano dietro i due sedili. Il motore è il V6 da 2,5 litri con carburatore doppio corpo Weber in grado di erogare 118 CV (110 per gli esemplari USA) e fare viaggiare la B24 oltre i 180 km/h, merito pure del peso contenuto sotto i 1.100 chili. Raffinata la meccanica che riprende quelle del modello d’origine che rispetto alle prime serie adotta nel retrotreno sospensioni a ruote semi-indipendenti con ponte De Dion.

UN MODELLO DA “TOCCARE”

Dalla pre-serie alla versione definitiva il passo è breve, anche perché il tempo è poco: il debutto è previsto per il 15 gennaio del 1955 al Salone di Bruxelles. Le modifiche si limitano alla calandra di nuovo disegno, alla coda più profilata e all’inserimento da insoliti paraurti sdoppiati che convergono verso lo “scudo” con forma ricurva o “ad ala”. Più curato pure l’abitacolo con volante con tre razze in alluminio e corona in legno, cruscotto avvolgente con tre quadranti circolari che ospitano contagiri, tachimetro e gli indicatori di benzina e olio. L’esito è semplicemente eccelso, tanto che gli stessi Gianni Lancia e Battista Farina fanno della Spider GT 2500 la propria vettura personale. Perché, come amava ripete spesso Martinengo, “quando vedi una Aurelia B24 lo sguardo non ti basta, ti viene un impulso irrefrenabile di toccarla”. Un desiderio che hanno in molti, considerato in poco tempo gli ordini arrivano a 239, malgrado il prezzo della B24 non sia proprio economico: 2.822.000 lire, quando la Giulietta Spider ne costa meno di due.

LA FINE DELL’ERA LANCIA

A interrompere la produzione ad ottobre del 1955 sono eventi tristi. Il rallentamento delle vendite dell’Aurelia e la diffusione inferiore alle aspettative dell’Appia complicano i bilanci Lancia, già prosciugati dai costi sostenuti per il Grattacielo e per l’impegno agonistico, tanto che Gianni considera l’ipotesi di cedere le azioni di famiglia. A intricare la situazione sono eventi luttuosi. Alberto Ascari, due volte campione del mondo di Formula 1 e pilota Lancia dal 1954, corre il mondiale del 1955 al volante della D50 con la quale “vola” in mare dopo un’uscita di strada al Gran Premio di Monaco. E’ il preludio della tragedia che quattro giorni dopo lo porterà l’asso milanese a perire in un banale incidente mentre prova per diletto una Ferrari 750 Sport dell’amico Eugenio Castelletti all’Autodromo di Monza. Gianni Lancia è sconvolto e decide di sospendere l’attività agonistica, cedendo le D50 alla Scuderia Ferrari, e di rifugiarsi in Sud America. Eventi che costringono Adele Lancia, madre di Gianni e al vertice del marchio dopo la partenza del figlio, a cedere la proprietà alla famiglia Pesenti, titolare della Italcementi, che estromette definitivamente Gianni dall’organigramma aziendale.

DA SPIDER A CONVERTIBILE

Il cambio di proprietà si ripercuote sulla B24, prima con la citata interruzione della produzione, poi con l’apporto di modifiche sostanziali alla vettura per renderla più confacente alle esigenze del mercato statunitense, cioè meno spartana e più confortevole. Nasce così la Aurelia GT 2500 “America” Convertibile basata sulla quinta serie della B20 con il motore da 2,5 litri depotenziato a 110 CV, cambio modificato e massa che supera i 1.200 kg. Fattori che incidono sulle prestazioni come conferma la velocità massima che scende a 172 km/h. A cambiare è pure l’aspetto, ora più classico con il parabrezza panoramico sostituito da uno di tipo convenzionale che consente l’adozione dei finestrini discendenti e con i parafanghi a lama unica (con rostri nella versione USA) prive delle tipiche “ali” della Spider. Ritocchi riguardano pure il frontale e il posteriore, dove le “pinne” sono più accentuate. A confermare la svolta dedita al comfort sono pure la comparsa delle maniglie sulle portiere, ora più ampie per agevolare la salita, e la dotazione più ricca, con interni in pelle, “portaguanti” con serratura e riscaldamento con doppia regolazione. Il cruscotto è di impostazione più tradizionale, ma arricchito con alcuni elementi, quali l’orologio, l’indicatore della temperatura dell’acqua e la spia della pressione dell’olio.

LA PRODUZIONE CESSA NEL 1958

Presentata a luglio del 1956“terza” serie della B24 che eredita le modifiche estetiche e tecniche apportate alla B20 sesta serie. In realtà, a cambiare sono piccoli dettagli e la stessa meccanica subisce variazioni limitate che elevano la potenza a 112 CV e la velocità a 175 km/h. A mutare è pure la denominazione, ora priva del termine “America”. La nuova variante rimane nelle linee di assemblaggio fino alla fine del 1958 e in listino per alcuni mesi dell’anno successivo concludendo la sua avventura dopo 371 esemplari consegnati. Delle 760 unità totali vendute in quattro anni, in realtà, non più di 200 tra Spider e Convertibile arrivano nella destinazione per la quale era stata concepita, cioè oltreoceano. Ad ostacolarne la diffusione sono il prezzo alto (negli USA costa 5.475 dollari, contro i 4.500 della Jaguar XK 140 o i 3.500 di una Porsche) e la rete di distribuzione modesta di Lancia.

LA B24 DIVENTA STAR DEL CINEMA

Scomparsa dai listini, la B24 continua a fare parlare sé, grazie pure alle fuori serie prodotte in passato e acquistate da personaggi celebri, come Brigitte Bardot, proprietaria di una Cabriolet speciale di Pininfarina, e Umberto Mastroianni, scultore e zio dell’attore Marcello che si è fatto realizzare dall’atelier di Battista un’inusuale versione con hardtop saldato alla carrozzeria. Il legame con il grande schermo esplode nel 1962, anno nel quale esce nelle sale il capolavoro di Dino Risi “Il sorpasso”. Dove più che Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant, la vera star è proprio la B24 Convertibile con il quale i due protagonisti si lanciano in una scorribanda automobilistica per un’incantevole Roma estiva fino alla folle corsa al ritmo del clacson bitonale sulle strade costiere delle Toscana. L’epilogo, come certi vizi dell’Italia di allora, è infausto e si conclude tragicamente in una curva. Naturalmente, della via Aurelia.

Fotogallery: Aurelia B24, l’auto de "Il sorpasso"