Ci vuole la determinazione e la capacità programmatica dei tedeschi di BMW, per fare di MINI un successo globale; un po’ come accade, peraltro negli stessi anni anche se in fasce di mercato decisamente diverse, a Lamborghini dopo l’ingresso di Audi. MINI, infatti, va avanti con - sostanzialmente - la stessa macchina dal 1959; ed è il 1994, quando BMW rileva il Gruppo Rover, all’interno del quale c’è anche, appunto, MINI. I tedeschi capiscono subito che è arrivato il momento di rinnovare quello che è sì un mostro sacro, ma che ormai accusa il peso degli anni. Anzi, il piano è chiaro fin dall’inizio, perché è da qualche anno che a Monaco di Baviera cercano un modo per allargare verso il basso la propria gamma. L’opportunità giusta la scovano nel marchio inglese, che però li costringe a “sobbarcarsi” il Gruppo Rover per intero, quindi anche il marchio Rover, Land Rover (che viene valorizzato come merita dagli indiani di Tata) e altre realtà minori.
Quando è troppo è troppo
Come scritto sopra, per quanto gli aggiornamenti siano numerosi e anche profondi nel corso degli anni, la MINI che viene commercializzata nel 1994 - e fino al 2000 - è fondamentalmente quella ideata da Alec Issigonis e lanciata addirittura nel 1959.
Un progetto vincente: nei numeri di mercato, nello sport (da leggenda i trionfi al Rally di Montecarlo nel 1963, 1965 e 1967) e anche nell’affetto delle persone, degli appassionati di auto ma anche in quelli di design. Dopo 41 anni, però, più che nostalgica quella MINI è anacronistica.
Ed ecco che il mito si rinnova. Per mano dei tedeschi. Qualcosa che avrebbe (e fa) inorridire i più tradizionalisti tra i fan del marchio british, ma che è una vera e propria rinascita.
Disegnata da un americano
Come se non bastasse il DNA tedesco, la prima MINI dell’era BMW è disegnata da un americano: Frank Stephenson. Un “problema” solo per chi dà peso a queste cose; per tutti gli altri, non ci sono discussioni, la MINI del 2000 (dal 2004 anche cabriolet) è un capolavoro.
Un lavoro esemplare di reinterpretazione dei concetti di base del marchio e del modello, attualizzati a quasi mezzo secolo dopo. La guardi e capisci immediatamente che si tratta di una MINI, ma non hai il minimo dubbio sul fatto che sia una macchina moderna. Il che è tanto più valido quando nella MINI ci entri e inizi a guidarla.
Bastano due curve e te ne innamori
Difficile scegliere il punto centrale per descrivere un’icona come la MINI di BMW. Perdonerete dunque se scelgo io e se mi focalizzo prima di tutto sulla guida, anche perché il design potete valutarlo da soli sfogliando la gallery che trovate qui sotto.
Il marketing si inventa il claim, geniale, di “go-kart feeling”, per descrivere il comportamento stradale della macchina. E non avrebbe potuto trovare parole più azzeccate: l’immediatezza di risposta, la reattività del retrotreno e la facilità di controllo sono davvero paragonabili - fatte le debite proporzioni - a quelle di un go-kart.
Fra quelli che le MINI le hanno guidate tutte, da quella di Issigonis alla generazione attuale, la maggior parte concorda sul fatto che la pi riuscita, se si parla di telaio, sia proprio la seconda, o la prima by BMW, venduta dal 2001 al 2007.
L’immediatezza di risposta, la reattività del retrotreno e la facilità di controllo sono davvero paragonabili - fatte le debite proporzioni - a quelle di un go-kart.
La tecnica
Lunga 3 metri e 62 cm, larga 1 e 68, e con un passo di 2 e 46, la MINI, per quanto compatta, è cresciuta parecchio rispetto all’originale; il peso supera la soglia psicologica dei 1.000 kg, attestandosi precisamente a quota 1.075. Servono dunque motori più grandi, ma anche i più piccoli tra quelli della gamma BMW di fine anni Novanta sono sovradimensionati.
Manca cioè una via di mezzo, che viene trovata nei propulsori 1.6 Phentagon Chrysler-Rover, costruiti in Brasile dalla Tritec. A dirla tutta, non si tratta di unità all’altezza della tecnologia BMW: questi 4 cilindri sono infatti abbastanza “assetati”, nonostante l’adozione - per la prima volta in MINI - dell’iniezione elettronica e delle sedici valvole insieme.
Numeri da piccola sportiva
La potenza? Si parte dai 90 cavalli della One, si sale ai 115 della Cooper e ai 163 (grazie anche al compressore volumetrico) della sportiva Cooper S, capace di 215 km/h di velocità massima e di uno 0-100 km/h in 7,3 secondi.
Quanto alle sospensioni, ci sono ruote indipendenti McPherson all’avantreno e triple-link al retrotreno. Nel 2002 arriva invece la Cooper S, portata a 200 CV, per uno 0-100 in 6,6 secondi e 230 km/h di velocità di punta. Nel 2004 è infine il turno della Cooper D, spinta da un 4 cilindri common rail di origine Toyota.