Basterà un'accelerazione dal 9 al 20% in poco meno di dieci anni per avere un peso specifico nel mercato globale dei chip? L'Unione europea ritiene di sì e proprio per questo ha varato un piano da 43-45 miliardi di euro, lo European Chips Act, per ridurre al minimo la dipendenza dall'estero e conquistare un quinto del mercato mondiale.
Ma qual è la mappa dei produttori di semiconduttori a livello planetario e che peso hanno i chip sull'automotive, vista la crisi che sta colpendo il settore e della quale ancora non è chiaro il punto di svolta. A capirlo ci aiuta un report di Bain & Company coordinato da Gianluca Di Loreto.
Taiwan capitale mondiale
La prima cosa da sottolineare è che in ogni automobile ci sono tantissimi chip, in un numero che varia da 50 a 3 mila e che è destinato ad aumentare in futuro (adas, guida autonoma, connettività). La produzione di semiconduttori è concentrata in pochi Paesi, in particolar modo nell'Est asiatico, Cina, Giappone ma soprattutto Corea e Taiwan. Ed è proprio qui, a Taipei e dintorni, che si concentrano i colossi del settore. Nomi come, per esempio, Samsung e Tsmc.
Taiwan semiconductor manifacturing company (Tsmc), sottolinea Bain, è il produttore che di fatto domina la tecnologia dei chip sotto i 28 nm (nanometro, pari a un miliardesimo di metro), quelli appunto destinati all'automotive.

Ma quanto pesa il settore delle quattro ruote sulla domanda mondiale di semiconduttori? Poco, pochissimo, appena l'8% secondo Bain, che stima nel 2020 un mercato da 450 miliardi di dollari. La "fetta" decisamente più ampia della richiesta di prodotto arriva dagli smartphone e dai computer. E questo spiega in parte la crisi in atto: i chip automotive sono i meno remunerativi e i più obsoleti, tecnologicamente parlando (visto anche il lungo ciclo di progettazione-produzione di un veicolo). Quindi il loro valore sul mercato è ridotto e la produzione si concentra su elementi a maggior margine economico.
La visione del capo di StMicroelectronics
In tutto questo, oggi come oggi, l'Europa a che punto è? C'è ovviamente Bosch, che oggi ha diffuso i risultati preliminari del 2021 con fatturato e utili in crescita, accompagnata da altre realtà. Va ricordato che da noi opera da parecchio tempo (cioè dal 1987) un gruppo italo-francese, StMicroelectronics (quotata al Nyse a Parigi e a Milano, con una holding olandese di controllo a sua volta partecipata al 50% dal Tesoro italiano), che ha un giro d'affari a due cifre contato in miliardi di euro. E, in questo caso, è il ceo di StM, Jean-Marc Chery, a fare il punto della situazione e a definire le prospettive di sviluppo del mercato.
"Oggi telecomunicazioni, computer ed elettronica di consumo costituiscono circa il 65% del mercato dei semiconduttori. Il restante 35% è auto e industria in senso ampio, dall'automazione delle fabbriche ai motori elettrici di grandi e piccoli elettrodomestici. Nella seconda metà del 2021", ha sotttolineato Chery in una recente intervista a La Repubblica, "la domanda di chip dedicati ad automotive e industrial ha accelerato, quella per smartphone è tornata a crescere del 3%, così come quella dei server, mentre per i pc è cominciato un rallentamento".

Il sorpasso però non è da mettere in conto, "perché anche nel mondo dell'informatica e delle comunicazioni ci sono trend che vanno a velocità doppia rispetto alla crescita del settore. Pensate alla realtà aumentata, al Metaverso su cui investe Facebook, al cloud, all'intelligenza artificiale. Sono megatrend che hanno contribuito a causare la carenza di chip a livello globale per la loro accelerazione che ha sorpreso molti. È un mercato potenziale enorme, che nel 2030 varrà più di mille miliardi di dollari".