Iniziamo con un concetto: ci sono i "puristi" e gli "appassionati". Per definizione i puristi sono coloro che raccolgono il massimo da una corrente, gli appassionati sono coloro che seguono la corrente per puro piacere, e spesso con superficialità. Ma non è sempre così: spesso i puristi, dall'alto del loro approccio saccente, non concepiscono le loro lacune, molto meno di quanto non farebbe un appassionato. Per i puristi del marchio Lancia, la Beta è stata una sorta di bestemmia: la prima "Lancia della Fiat", insignificante e scandalosa. Eppure, tanti di loro ignorano una cosa fondamentale: che la Beta, nelle sue varianti berlina e coupè (ad eccezione della Montecarlo), è stata di fatto l'ultima auto ad essere concepita dalla "Lancia S.p.A.", sotto la gestione Pesenti e quindi prima del fatidico 1969, anno in cui la Fiat incorporò la Casa di Chivasso.

FIGLIA DELLA RAZIONALIZZAZIONE LANCIA

Il progetto della Beta, infatti, era in già in cantiere nella seconda metà degli anni Sessanta, con l'obiettivo principale di razionalizzare la produzione, ovvero di evitare un bagno di sangue analogo a quello causato dalla Lancia 2000, bella e raffinata evoluzione della Flavia, ma costosissima da produrre. Per ordine perentorio dei vertici dell'azienda la Beta nacque quindi con più di un occhio di riguardo alla razionalità industriale e determinate sue caratteristiche controverse sono figlie di questo approccio. La nuova Lancia di classe media fu disegnata nell'ufficio progetti di via Caraglio a Torino, attorno ad una nuova piattaforma, lunga circa 4,30 m e con un passo da 2,54 m, e una meccanica d'avanguardia, come da tradizione. Trazione anteriore, cambio a cinque rapporti, sospensioni anteriori e posteriori di tipo McPherson con le posteriori dotate di sottili bracci sdoppiati (una soluzione raffinata Made in Lancia, che entrerà nel patrimonio tecnico della Fiat e verrà sfruttata per due decenni, finendo la carriera sulle Alfa 156/147/GT) e impianto frenante a quattro dischi "Superduplex" (altra chicca Lancia) erano le caratteristiche tecniche salienti della nascente Beta. Il design fu affidato a Giampaolo Boano, figlio del più noto Felice Mario, che si espresse realizzando una due volumi dal profilo morbido, pulito e filante, con un frontale affilato - per i canoni del tempo - coda fastback tipo Kamm, come volevano le ultime tendenze del momento (vedi le Citroen GS e CX e lo studio di Pininfarina su meccanica BMC 1800), priva di portellone e con un piccolo cofano posteriore.

MOTORI FIAT

Il progetto, così impostato, fu rivisto nel '69, con l'adozione di propulsori di origine Fiat da 1.4, 1.6 e 1.8 litri, i quattro cilindri bialbero progettati dall'Ing. Lampredi la cui progenie rimarrà sulla breccia per un trentennio (sarà l'unica ingerenza di Corso Marconi nella realizzazione della media Lancia). Dopo l'acquisizione da parte del colosso torinese, lo studio fu rinominato "Y1", quasi a sottolineare il ruolo di "atto primo", la prima auto della Lancia rinata sotto l'egida Fiat. Da qui, da un cattivo uso dei segni e dei concetti, l'atavica e immotivata questione dei puristi indicata in apertura. La Fiat ripose nella Beta molte più speranze di quante poi l'auto riuscì ad ottenere. Questa, con il suo design, avrebbe affiancato alla perfezione la Fiat 132 nel rendere complementari le gamme Fiat e Citroën, in previsione della grande fusione con la Casa francese annunciata dagli accordi PAR.DE.VI del 1968. Si arrivò al punto di concepire variazioni alle sospensioni della media di Chivasso, così da poter utilizzare gli elementi oleopneumatici Citroën. Ma le divergenze tra Torino e Parigi furono tali che il matrimonio fu ben poco proficuo e gli unici scambi si ebbero sui particolari delle trasmissioni della Citroën CX e sulla definizione del veicolo commerciale C35/Fiat 242. L'accordo franco-italiano si scioglierà prematuramente pochi anni dopo e la Beta, la 132, così come il resto della gamma francese, non furono modificate in onore delle sinergie.

UN ESORDIO SOFFERTO

Nel 1972 l'auto era pronta e nel novembre di quell'anno il salone di Torino potè darle i natali. L'esordio non fu dei più brillanti: il design poco convenzionale della carrozzeria, la plancia dalla perfetta simmetria, alcuni materiali utilizzati all'interno e le motorizzazioni di derivazione Fiat minarono all'immagine della nuova media, soprattutto agli occhi di chi proveniva da una Fulvia o da una Flavia 1.5, modelli per i quali la Beta avrebbe costituito l'alternativa moderna. La vettura era disponibile con i motori da 1.4 a 1.8 litri e potenze tra 90 e 110 cv, in allestimento "base" e nel raro "LX" - per le due motorizzazioni più grandi - dotato anche di idroguida ZF. Come tutte le Lancia, anche la Beta sfoggiava un abitacolo "neoclassico" con soluzioni estetiche originali. Alla plancia simmetrica (per consentire un facile ed economico adattamento alla guida a destra), si contrapponeva una strumentazione completa, incastonata in un pannello disegnato ad hoc, e finiture di grande impatto estetico. Solo il volante, sottile e a due razze orizzontali, risultava un po' sottotono. La Beta fu l'ultima Lancia ad avere una naturale vocazione europea: fu ben accolta in Francia e fu vista con attenzione anche dai mercati del Nord (Germania, Scandinavia, Regno Unito), che nutrivano grandi aspettative su questo modello - la prima Lancia "moderna" - sicuramente più di quelle che nutriva il mercato italiano. Questa caratteristica, però, finì con l'essere un peso per la media di Chivasso: la qualità non eccelsa dei trattamenti anticorrosione (con i tristemente famosi "acciai russi" e la bassa qualità di realizzazione delle verniciature, direttamente associabile alle tensioni di fabbrica di quegli anni) resero la Beta estremamente sensibile agli agenti atmosferici, che nell'Europa continentale sono particolarmente aggressivi. Il Regno Unito in particolare, per cui la Casa realizzò la versione 1800 ES nel '74 e il cui mercato era la miglior piazza di esportazione per Lancia, ben presto si trasformò in un inferno: la Beta fu oggetto di una vera e propria "crociata" mediatica organizzata dai mass media - tra cui il Daily Mirror - a causa dei problemi di corrosione del pianale, tanto da causare un danno di immagine tale che le vendite crollarono inesorabilmente (fino al ritiro completo nei primi anni '90, dopo un imbarazzante errore di naming con la Dedra).

AGGIORNAMENTI E RESTYLING

Il primo aggiornamento alla gamma si ebbe nel 1974, con l'introduzione della più economica 1.3 e della già citata 1800 ES di cui ne venne realizzata nel corso del 1975 una seconda versione, con guida a sinistra, depotenziata a 90 cv e dotata di EGR. Quest'allestimento, dotato di robusti paraurti ad assorbimento d'urto e luci d'ingombro laterali, venne destinato all'esportazione negli Stati Uniti. Dopo soli tre anni dall'esordio ci fu il primo restyling: Pininfarina fu incaricato di renderne più snella l'immagine. Senza modifiche di rilievo agli elementi strutturali, furono ampliate le luci laterali e il lunotto, fu ridisegnata la coda con nuovi gruppi ottici e una modanatura in alluminio e i proiettori anteriori furono carenati con due palpebre in vetro rettangolari. Interventi minori furono l'adozione del parabrezza con fascia antiabbagliamento, di un profilo in gomma lungo lo spigolo del diedro, per tutta la lunghezza della fiancata, e il ricollocamento dei ripetitori laterali di direzione e delle targhette identificative in coda. Con queste modifiche la Beta guadagnò in leggerezza estetica, ma perse molto in originalità: la vista di profilo le regalava una somiglianza con la Citroën GS quasi imbarazzante (soprattutto perché la GS era un modello di classe notevolmente inferiore rispetto alla media Lancia). L'abitacolo presentava un allestimento razionalizzato, nuovo volante, nuove sellerie, nuovi pannelli porta e plancia dalle finiture meno "barocche". Ci furono, infine alcuni aggiornamenti meccanici: scomparvero le versioni 1.4 e 1.8, della gamma precedente rimase il solo 1.3 (che presentava un frontale non aggiornato), mentre furono introdotti la 1.6 con motore 1.585 cc in luogo del precedente 1.592 cc e la nuova versione da 2 litri. Tra gli allestimenti fu pensionato anzitempo il ricco LX, mentre per il mercato americano sopravvisse la 1800 fino al 1978, quando fu sostituita dalla nuova versione con motore 2.0, prodotta in poche centinaia di esemplari prima del ritiro completo del modello dagli USA (in cui furono esportati circa 1800 esemplari di Beta berlina). Dell'assemblaggio della Beta seconda serie - in cui vennero risolti i problemi di corrosione degli esemplari precedenti - se ne occupò anche la Seat che realizzò, a fini di "sperimentazione industriale", una piccola serie da un migliaio di Lancia Beta 2.0, approntate nello stabilimento di Pamplona per il mercato interno.

IL RESTYLING DEL "GRUVIERA"

Nel 1979, la nuova compatta Lancia Delta, diede un'ulteriore slancio innovativo al marchio, soprattutto dal punto di vista del design. La Beta, la cui impostazione estetica era invecchiata anzitempo a causa di una decisa sterzata delle tendenze, non poteva fermarsi. Fu deciso, così un secondo restyling, ben più "pesante" del primo. Fu completamente rifatto il frontale contraddistinto da nuovi gruppi ottici avvolgenti con fari rettangolari a doppia parabola e da una nuova calandra a scudo, affine allo stile inaugurato proprio dalla Delta, e ritoccate alcune finiture tra cui le nervature del cofano e le prese d'aria, i paraurti, la modanatura lungo la fiancata e i gocciolatoi. Se l'esterno fu aggiornato relativamente, l'abitacolo fu letteralmente stravolto. Anche in questo caso, la piccola di casa, col suo design di rottura della plancia e degli arredi interni orientò gli aggiornamenti della Beta. La Lancia si pregiò della collaborazione dell'architetto meneghino Mario Bellini e presentò per la sua rinnovata media, un interno con soluzioni assolutamente originali. La plancia, soprannominata "gruviera" - a totale sviluppo verticale - era caratterizzata da decine di incavi rotondi, dei veri e propri "buchi", che ospitavano singolarmente gli indicatori, i comandi del climatizzatore, spie e pulsanti per i comandi secondari. L'insieme era sconcertante, ma assolutamente scenografico e non privo di uno studio ergonomico. Sullo stesso stile, furono ridisegnate le sellerie (queste un po' meno funzionali, perché prive di qualsiasi contenimento laterale), il volante, i pannelli porta (con la maniglia d'apertura nascosta) e il tunnel centrale, che ospitava i comandi dei quattro alzavetri elettrici. Gli aspetti della nuova impostazione estetica dell'abitacolo, moderna e minimalista si scontrarono col target tendenzialmente tradizionalista a cui la Beta berlina si rivolgeva, al punto da trasformare un punto a favore - un interno moderno e assolutamente originale - in una nota di demerito. Meccanicamente, con la terza serie divennero disponibili il propulsore due litri ad iniezione elettronica (riservato alle versioni d'esportazione) e il cambio automatico a tre rapporti, mentre non furono più previsti il modello d'attacco 1300 e la versione per il mercato americano.

TREVI: ESPERIMENTO A TRE VOLUMI

Intanto, con la fine degli anni Settanta, finì anche la moda delle vetture di classe superiore due volumi. Ben presto tornarono in auge per determinati segmenti di mercato le classiche berline tre volumi e la Lancia, che non aveva ancora perso la sua collocazione tra i marchi "premium" europei (ruolo che oggi le è ben più complesso rivestire) non poteva permettersi di mancare all'appello. Con la poco apprezzata Lancia Gamma (1976), una grossa due volumi, a rivestire il ruolo di ammiraglia, si rendeva necessario improntare lo studio di una nuova berlina classica. Pininfarina, dal canto suo aveva magistralmente interpretato l'evoluzione tre volumi della Gamma, presentando nel 1980 il prototipo "Scala", ma la Lancia aveva nel frattempo già completato l'industrializzazione, a tempo di record, della sua nuova berlina, la Beta Trevi. Presentata nel 1980 la Beta Trevi (acronimo delle parole TRE Volumi) era un'azzardata evoluzione tre volumi della classica Beta. L'idea di base era assolutamente valida, ma fu sviluppata ancora una volta con una forte attenzione verso i costi di produzione. La Trevi conservava il padiglione della Beta berlina fino alle porte posteriori comprese. Queste ultime erano caratterizzate da un taglio del montante praticamente verticale, va da sé che con un design del genere, impostare l'inclinazione del lunotto e del terzo volume posteriore, mantenendo le misure caratteristiche del modello di derivazione, fu un compito arduo. Il problema fu risolto ridisegnando la parte terminale del tetto abbinandola ad un lunotto dalla limitata inclinazione che si posava, con soluzione di continuità su una coda relativamente bassa e piatta, dal cofano perfettamente liscio. Il problema del raccordo tra il taglio verticale delle porte posteriori e l'inclinazione del lunotto fu risolto mediante una modanatura cromata disegnata ad hoc e una griglia d'aerazione, che fungeva otticamente da terza luce laterale. Il risultato, non privo di una certa eleganza, costituiva il miglior compromesso ottenibile con soluzioni di partenza tanto limitanti, ma globalmente l'equilibrio formale della Beta berlina due volumi fu totalmente stravolto, con un frontale affilato ed una coda caratterizzata da un padiglione "tronco", tagliato di netto, e un volume rastremato. Sotto il cofano e nell'abitacolo non vi erano differenze tra la Trevi la Beta due volumi, mentre commercialmente la Trevi fu disponibile sin da subito, anche per il mercato italiano, in versione 2.0 i.e.

FINALE COL VOLUMEX

Nel 1982, a due anni dall'esordio, la Beta Trevi potè usufruire del motore due litri sovralimentato con compressore volumetrico "Volumex" da 135 cv, già utilizzato su altri modelli del gruppo Fiat, come la 131 e la Spidereuropa Pininfarina. Caratterizzata da un frontale rinnovato, con uno spoiler inferiore, la Trevi VX divenne così punta di diamante della gamma Beta, soprattutto dopo il pensionamento, avvenuto nel '81, dell'originaria Beta due volumi. Sulla base della VX la Lancia approntò un prototipo per sperimentare la trazione integrale: la Trevi Bimotore. Caratterizzata da vistose prese d'aria laterali e dotata di due propulsori VX, uno anteriore ed uno posteriore, per 270 CV totali, la meccanica della Trevi Bimotore era gestita elettronicamente da un software studiato per l'occasione. Verniciato in rosso scuro, con i colori storici Lancia HF, questo prototipo sopravvive ancora oggi nella collezione storica Lancia.
Nel 1983, intanto, gli aggiornamenti estetici propri della VX furono estesi anche all'intera famiglia Trevi che, per l'occasione perse il motore due litri aspirato a carburatori e il prefisso Beta, diventando semplicemente Lancia Trevi, disponibile nelle versioni 1.6, 2.0 i.e. e VX. Ancora un altro anno e l'esordio della meglio riuscita Thema manderà in pensione in un colpo solo la Lancia Gamma, la Trevi e le rimanenti Coupè ed HPE della famiglia Beta, di cui parleremo nel prossimo capitolo.

QUANTO VALE OGGI

La Lancia Beta berlina e la successiva Trevi non possono essere considerate regine delle quotazioni nell'ambito delle auto usate e neppure il loro status di auto d'epoca con 25/30 anni di anzianità ne ha mai sollevato le fortune in ambito collezionistico. Questo significa che gli esemplari in vendita sono sempre pochi e che i prezzi sono abbordabili, inferiori anche ai 2.000 euro e quasi mai al di sopra dei 4.000 euro. Qualche esempio lo si può trovare fra gli annunci di AutoScout24, dove una Lancia Beta 2.0 a 5 porte del 1980 viene offerta a 1.990 euro, una Beta 1.6 con un chilometraggio dichiarato di 24.000 km arriva a 2.800 euro e una Lancia Trevi 2.0 i.e. del 1983 non supera i 3.000 euro. Tutti gli altri mercati europei messi assieme non offrono quanto quello italiano e visti i grossi problemi di corrosione delle prime serie è forse meglio rivolgersi verso esemplari provenienti da zone dal clima più secco, come ad esempio il sud del nostro paese. Esemplari con pochi proprietari precedenti sono sempre da preferire e se si vuole usufruire di "bollo" ridotto senza bisogno di iscriversi a un registro storico basta acquistare una Lancia Beta non più giovane del 1980. Per avere sconti e agevolazioni sul premio assicurativo è come sempre buona regola iscrivere l'auto a un registro storico riconosciuto dall'ASI, iscrizione che permette anche alle Lancia Trevi più recenti di pagare la tassa di possesso in misura ridotta.

Fotogallery: Lancia Beta: l’ultima Lancia, la prima Fiat