“La Fiat è tecnicamente fallita. Non stupirti. Noi perdiamo due milioni al giorno, non so se mi spiego. Se fallimento significa non avere i soldi in casa per pagare i debiti, bene, allora noi ci siamo” con questa frase Sergio Marchionne si rivolse a Gianluigi Gabetti, uno degli storici consiglieri della famiglia Agnelli, pochi giorni dopo essere diventato amministratore delegato del Gruppo Fiat. Era il 2004 e la sua avventura nel gruppo torinese era appena iniziata, sotto la presidenza di Luca Cordero di Montezemolo e nello scetticismo generale. Da quel momento in poi, nei quattordici anni a capo di quella che poi sarebbe diventata FCA, Marchionne si è imposto non solo come abilissimo manager ma anche come grande comunicatore, con uno stile spiazzante e di rottura che non è variato nemmeno quando ha preso la guida della Ferrari.
Il primo impatto con la Fiat e con uno stabilimento storico come quello di Mirafiori hanno lasciato un ricordo indelebile nelle memoria di Marchionne
“Mi ricordo i primi 60 giorni dopo che ero arrivato qui, nel 2004: giravo tutti gli stabilimenti e poi, quando tornavo a Torino, il sabato e la domenica andavo a Mirafiori, senza nessuno, per vedere quel che volevo io, le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi. Cose obbrobriose. Ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e farli vivere in uno stabilimento così degradato”
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E non c'è dubbio che i primi anni al Gruppo Fiat siano stati certamente quelli più difficili e così Marchionne li ha ricordati in tempi recenti
“Ho cercato di organizzare il caos ho visitato la baracca, i settori, le fabbriche. Ho scelto un gruppo di leader e ho cercato con loro di ribaltare gli obiettivi per il 2007. Allora non pensavo di poter arrivare al livello dei migliori concorrenti, mi sarei accontentato della metà classifica. Nessuno ci credeva, pensavano che avessi fumato qualcosa di strano. Oggi posso dire che non mi ha mai sfiorato la tentazione di rinunciare, piuttosto il pensiero che forse non avrei dovuto accettare. Ma era la Fiat, era un'istituzione del paese in cui sono cresciuto".
Marchionne è sempre stato orgoglioso delle sue origine italiane e non si è mai risparmiato in commenti sull'Italia e sull'italianità. Questo è uno dei più famosi
“Storicamente, in Italia, per accontentare tutti, abbiamo sempre accettato compromessi e mediazioni, e abbiamo esaltato forme di attività corporative che hanno minimizzato il cambiamento. È questo atteggiamento che ha frenato l'Italia nel diventare un Paese competitivo. È questo atteggiamento che rende gli investimenti stranieri in Italia scarsi e rari. È questo atteggiamento che, perlomeno in parte, continua a tenere l'Italia in posizione difensiva e imbarazzata verso il resto dell'Europa”
E pure sul rapporto tra l'Italia e la Fiat ha avuto sempre le idee molto chiare
"Ho letto in questi anni molti libri sul legame tra la Fiat e l'Italia. La tesi generale è che se la Fiat va bene, l'economia italiana tira, aumentano le esportazioni, aumenta il reddito, crescono i posti di lavoro. Insomma, ciò che è bene per la Fiat è bene anche per l'Italia. Credo sia vero, perlomeno in parte, e comunque ci impegneremo perché ciò accada. Ma credo sia ancora più vero il contrario: ciò che è bene per l'Italia è bene per la Fiat”.
Ma quello che per Marchionne è sempre stato al primo posto nella gestione dell'azienda è la cultura del lavoro e ne ha parlato spesso
“Ai miei collaboratori, al gruppo di ragazzi che sta rilanciando la Fiat, raccomando sempre di non seguire linee prevedibili, perché al traguardo della prevedibilità arriveranno prevedibilmente anche i concorrenti. E magari arriveranno prima di noi”. “Non possiamo mai dire: le cose vanno bene. Semmai: le cose non vanno male. Dobbiamo essere paranoici. Il percorso è difficilissimo. Siamo dei sopravvissuti e l'onore dei sopravvissuti è sopravvivere.”
Il pensiero di Marchionne era chiaro e preciso anche sul potere
“Non mi frega assolutamente nulla del potere. Rispetto i ruoli, il potere a livello istituzionale, quello sì. È un insegnamento di mio padre, che era maresciallo dei carabinieri. Il mio è un potere industriale che cerco di esercitare con cura, rimanendo fedele agli obblighi morali. Nulla di ciò che faccio è mosso da interessi personali. Incontro politici soltanto per lavoro, non frequento salotti torinesi, milanesi, romani”
Il lavoro, ovviamente, è stato un tema toccato spesso dal manager italo-canadese anche da punti di vista diversi
“Ho grande rispetto per gli operai e ho sempre pensato che le tute blu quasi sempre scontino, senza avere responsabilità, le conseguenze degli errori compiuti dai colletti bianchi". "Non credo assolutamente alla regola che più sono giovani più sono bravi. Anzi. Sono per il riconoscimento delle capacità delle persone, che abbiano trenta o sessant'anni". "Non è licenziando che si diventa più efficienti. Non è il costo del lavoro di per sé che fa la differenza tra un'azienda competitiva e una relegata ai margini del mercato".
A proposito di lavoro bisogna ricordare anche gli anni più duri delle lotte sindacali e della stesura di un nuovo contratto collettivo diverso da quello nazionale
“Quando il 50% dei dipendenti si dichiara ammalato in un giorno specifico dell’anno, vuol dire che c’è una anomalia”. “Non posso accettare che tre persone mi blocchino un intero stabilimento, questa è anarchia non democrazia”. “Non è più accettabile la tirannia della minoranza nel mondo dei sindacati”.
Marchionne non ha mai avuto peli sulla lingua nemmeno parlando dei prodotti, suoi oppure altrui
“Di nuovi modelli ne abbiamo quanti se ne vuole, dobbiamo però dare ai nostri stabilimenti la possibilità di produrre ed esportare, gli impianti devono essere competitivi, altrimenti non possono produrre e vendere niente”. “Spero che non compriate la 500 elettrica, perché ogni volta che ne vendo una perdo 14.000 dollari. Sono abbastanza onesto da ammetterlo.” “Non ho mai saputo di nessun ragazzo cresciuto con il poster della Passat in camera”.
Come non ne ha avuti, infine, commentando i risultati della Ferrari in Formula 1
“Il primo mese è stato il più difficile, quando sono andato a vedere dove stavamo veramente nel panorama della Formula 1 e mi sono reso conto che non eravamo né presentabili né competitivi”. “Onestamente ho buttato nel team tutti i soldi che potevo. Ma questo era il passato. Abbiamo bisogno di usare meglio i fondi”.