Riassumere la storia di un’auto non è mai semplicissimo. Bisogna selezionare le tappe più importanti, trovare le parole giuste per descrivere gli accadimenti, trasmettere ciò che il modello ha rappresentato per gli appassionati, per il mondo dell’auto in generale e per la Casa che l’ha commercializzata.

Se poi la macchina in questione si chiama Mazda MX-5 la questione diventa tremendamente più complicata. Primo, perché la sua è una vera e propria love story con chiunque abbia a cuore il piacere di guida. Secondo, perché sono 30 anni che questa inimitabile sportiva è sul mercato, attraverso 4 generazioni. Terzo, perché quando ci sono di mezzo gli appassionati il rischio di non cogliere un determinato aspetto caro a qualcuno è altissimo.

Ecco dunque la “mia” selezione, incentrata soprattutto sui preliminari, sulle decisioni strategiche e vincenti - coraggiose, anche - che sono state prese nella fase iniziale e che hanno permesso alla MX-5 di diventare ciò che è diventata. Prima, però, è doveroso un augurio grande così a un’auto che se non ci fosse… Bisognerebbe inventarla!

L’idea è di un giornalista

Bob Hall. Dobbiamo dire tutti grazie a lui se la Mazda MX-5 è diventata realtà. Fine anni Settanta, Hall si trova in visita al quartier generale di Mazda negli Stati Uniti per intervistarne il presidente, Kenichi Yamamoto. Il quale, dopo aver risposte alle domanda, ne pone una al suo intervistatore: “Quale auto vorresti vedere prodotta da Mazda?”.

Hall, appassionato di spider a 2 posti come Fiat 124 Spider, MG B e Midget e Triumph TR6 e Spitfire, risponde senza indugi: “Una sportiva leggera, meglio se roadster”. Un’autentica illuminazione. Il resto è storia.

Il “pericolo trazione anteriore”, per fortuna, è stato scongiurato

Hall verrà assunto in Mazda USA e, sebbene il suo contributo sia solo “filosofico” (nullo dal punto di vista tecnico), da molti viene considerato il papà della giapponese. Detto questo, dalla fine degli anni Settanta alla MX-5 fatta e finita il percorso è ancora lungo.

Mazda MX-5 NA, le foto storiche

Per prima cosa, bisogna pensare alla configurazione meccanica. L’opzione di più rapida esecuzione, oltre che economica, è quella di mettere una carrozzeria sportiva su una base con motore anteriore trasversale e trazione anteriore, soluzione che negli anni Ottanta ha preso ormai piede.

Trazione posteriore sì, ma il motore dove lo mettiamo?

La seconda opzione è quella del motore posteriore centrale, un po’ più complessa, ma con il vantaggio di poter installare il motore stesso trasversalmente, quindi con minori costi di progettazione rispetto alla terza opzione: propulsore anteriore longitudinale e trazione posteriore.

Mazda MX-5 NA, le foto storiche

Quest’ultima è dunque la più costosa delle 3 architetture, ma anche l’unica che possa dare quel feeling di guida tipico delle sportive anni Sessanta. In Mazda si mettono una mano sul cuore - e una sul portafoglio - e optano proprio per la terza.

Via tutto il superfluo

In Mazda, oggi come nel 1989, tengono a sottolineare un aspetto: nella testa degli ingeneri, la MX-5 non doveva - e non è - una replica delle LWS (light weight sportscar) degli anni Sessanta: è una macchina 100% giapponese che deve piacere in tutto il mondo, con una personalità tutta sua.

Mazda MX-5 NA, le foto storiche

Cosa significa ciò nella pratica? Il concetto non è di facile definizione, a parole: se però l’avete guidata anche solo per pochi km e ne avete assaporato le sensazioni… Beh, ci siete. Detta alla giapponese: Jinba Ittai, ovvero l’intesa stretta che c’è fra cavaliere e cavallo. Per arrivare al risultato, il contenimento del peso è la via maestra: la prima MX-5, la NA, ferma l’ago della bilancia a 950 kg.

L’aiuto dei super computer

Riduzione del peso e rispetto delle norme di sicurezza non vanno d’accordo, se non con l’uso di acciai di alta qualità e di diversa resistenza, disposti in modo strategico nelle varie aree della vettura.

Un processo complicato che viene portato a termine grazie anche all’utilizzo massiccio dei computer, inesistenti negli anni Sessanta. Tornando al Jinba Ittai di cui sopra, non è un caso che il capo progetto della MX-5 sia un esperto nello sviluppo dei telai.

Motore: vince la semplicità

Niente turbo, non un cilindro in più di 4, 1,6 litri di cilindrata e 110 CV di potenza (almeno all’inizio). E poi: nessuna rincorsa a qualsiasi genere di record di potenza e rinuncia a sistemi eccessivamente avanzati di controllo elettronico.

In altre parole, i giapponesi privilegiano la semplicità, la compattezza e l’affidabilità. Non lasciano nulla al caso, questo sì, in termini di risposta al pedale del gas: ecco dunque un’attenta riduzione degli attriti, a tutto favore della reattività nel prendere giri.

Un cambio “connesso” e il Power Plant Frame

Che scoperta, direte voi: in quanto tale, il cambio è connesso. Ma in Mazda non si accontentano. Per fare in modo che il guidatore della MX-5 abbia la sensazione di manovrare uno strumento di precisione, gli ingegneri lo collegano tramite una struttura rigida - il Power Plant Frame - al differenziale (autobloccante).

ppf

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