Lo scorso 2 luglio ci ha lasciato il manager che, negli eighties, con un piano fatto di drastici sacrifici ma anche di idee innovative, ha salvato la Chrysler dal fallimento, prima ancora di Marchionne e della Fiat. Colui che meglio di chiunque altro ha incarnato il sogno americano.
Alla fine degli anni settanta la Chrysler è sull’orlo della bancarotta e solo una persona di polso, ma anche spregiudicata, come Lee Iacocca la può risollevare. Un uomo che, partendo da umili origini, si fa da solo, scalando i vertici aziendali della Ford Motor Company diventando il numero uno della Chrysler Corporation.
La fece passare da morte certa a uno dei maggiori colossi dell’auto del suo tempo, diventando quindi una delle personalità più ammirate, più criticate e ora anche rimpiante, della società a stelle e strisce e anche dell’automotive mondiale. Ripercorriamo quindi la storia e i prodigi di questo vulcanico uomo d’impresa.
Le italiche origini
Antonio Lido Iacocca, questo è il nome con cui è conosciuto all’anagrafe, nasce nel 1924 ad Allentown, Pennsylvania, dove papà Nicola e mamma Antoinette, originari di Benevento, sbarcano il lunario con un ristorante che serve hot dog. Negli anni della seconda guerra mondiale salta l’arruolamento per motivi di salute, quindi si impegna sui libri e nel 1942 consegue la laurea in ingegneria. Nel 1946 ottiene il suo primo impiego in Ford.
La scalata a Deaborn
Una volta assunto Iacocca mette in pratica quanto imparato all’università. Ben presto però vede che quello del tecnico è un lavoro noioso e poco stimolante. Decide così di farsi spostare nel settore commerciale, dove riesce ad esprimere tutto il suo potenziale.
Lee si rivela subito un genio del mestiere, grazie soprattutto ad operazioni come “56 for 56” con cui vende delle auto nuove, dei model year 1956 per l’appunto, per 56 dollari al mese. Per questa idea in particolare viene promosso e, negli anni sessanta, diventa direttore del brand Ford.
Nel suo nuovo ruolo Iacocca si impegna a svecchiare l’immagine della casa madre del gruppo grazie ad una serie di modelli di successo. Ed è in questo ruolo che dà forma a quella che possiamo definire la capostipite delle Pony Car.
Il mito della Mustang
È sua l’idea di una sportiva di medie dimensioni, rivolta sia ai giovani che alle famiglie, capace di adattarsi a qualsiasi esigenza grazie ad una variegata lista di motori, a sei e otto cilindri, con potenze comprese tra i 105 e i 271 cavalli.
Il manager deve quasi litigare con i vertici aziendali per poterla mettere in produzione, arriva addirittura a proporre il suo licenziamento nel caso le vendite andassero male. Ma il successo della Mustang gli dà ragione e subito si guadagna l’ammirazione non solo dei colleghi ma anche della stampa, che arriva a definirlo come uno degli uomini più importanti di Detroit.
Continua la sua ascesa nelle gerarchie e diventa presidente di tutto il gruppo. La cosa lo porta ad essere malvisto da Henry Ford II, con cui i rapporti sono sempre stati aspri e difficili. Poco dopo stipula una collaborazione con Carroll Shelby, alle cui cure venne sottoposta la Mustang dando alla luce le GT350 e GT500.
Da diseredato a salvatore
Sono gli anni settanta, la crisi petrolifera fa drasticamente calare le vendite dei modelli più performanti, così la seconda serie della Mustang deve adattarsi alle nuove e restrittive normative antinquinamento. Come se non bastasse la piccola Pinto, anch’essa idea dell’abile Iacocca, registra diversi problemi di affidabilità.
Con questi pretesti, nel 1978, viene licenziato da Henry Ford II. Subito dopo viene chiesto il suo aiuto in Chrysler. Il gruppo di Auburn Hills si trova in pessime acque, a causa di modelli inadeguati e con problemi di fabbricazione, oltre ad una montagna di debiti.
Il rinsanamento della Chrysler
Il consiglio di amministrazione di Auburn Hills, su consiglio di altri ex impiegati Ford, ingaggia Iacocca come presidente della società nel 1979, che nel frattempo ha un debito di oltre 4 miliardi di dollari con le banche. Subito il manager si adopera per praticare dei drastici tagli.
I modelli meno profittevoli vengono tolti dal listino, alcune fabbriche vengono chiuse, parte del personale mandato in esubero, le divisioni che si occupano di motori marini e veicoli militari vengono ceduti e la filiale europea, composta da ciò che rimane della Simca e del gruppo Rootes, venduto a Peugeot.
Ottiene enormi prestiti dalle banche, ma non senza richiedere prima la disponibilità al Congresso e al presidente Jimmy Carter per le relative garanzie. Mai prima d’ora è successo che lo stato concedesse un simile aiuto ad un’azienda privata. Dal ramo europeo tiene buona la piccola Horizon, che trova fortuna in America con altri marchi e contribuisce a far recuperare quote di mercato all’impresa.
La piattaforma K
Iacocca dà vita ad alcuni progetti che tiene in serbo fin dai tempi di Ford ma che all’ovale blu non gli hanno dato possibilità di concretizzare. Sono il Minivan, venduto coi marchi Plymouth e Dodge e che poi arriva in Europa come Chrysler Voyager, e la nuova piattaforma a trazione anteriore K, su cui nascono nuovi modelli che gradualmente prenderanno il posto delle vecchie full size di vecchia concezione.
Macchine come Plymouth Reliant, Dodge Omni, Chrysler Le Baron, Chrysler Laser e tanti altri risollevano le sorti del gruppo del pentagono. La società, con largo anticipo, riesce non solo a risanare i propri debiti ma pure a riscalare le classifiche di vendita e ad accumulare grandi profitti.
Famosi sono gli spot televisivi dove lui stesso è protagonista ed esclama lo slogan “se trovi un’auto migliore, compratela”. Ristabilisce i rapporti anche con Carrol Shelby, anche lui in pessimi rapporti con Henry Ford II, che cura le versioni sportive ad alte prestazione delle nuove vetture.
Nuove acquisizioni
Nel 1987, dopo essersi lasciata i problemi alle spalle, il gruppo di Detroit gestito dal manager italoamericano rileva la AMC diventando a sua volta proprietaria del marchio Jeep, riuscendo a risollevare anch’essa, e la maggioranza della Lamborghini.
A lui e a Shelby, si deve inoltre la nascita di un altro mito americano, la Viper. Tra tanti successi capita anche qualche episodio meno memorabile, come il flop della Chrysler TC, una LeBaron assemblata in Italia e rifinita come una Maserati.
Era frutto di un accordo tra Auburn Hills e l’allora proprietario del marchio del tridente e sua vecchia conoscenza dai tempi della Ford Aleandro DeTomaso. Dopo aver fatto di Chrysler un’azienda in salute Iacocca si ritira a vita privata nel 1992.
La vita privata
In mezzo a tante soddisfazioni Iacocca deve superare anche dei brutti colpi, come la scomparsa della prima moglie Mary, portata via dal diabete, e il divorzio dalle successive consorti.
Durante i tempi d’oro in Chrysler il presidente Ronald Reagan gli chiede di raccogliere fondi per la ristrutturazione della Statua della Libertà e recita pure in un cameo in una puntata della famosa serie televisiva cult di quegli anni Miami Vice.
Dopo il ritiro dalla vita da dirigente apre un’attività dedita alla produzione di alimenti a base di olive e aiuta l’amico Kirk Kerkorian in diversi affari, tra cui la tentata ma fallita scalata a Chrysler, che poi è costretto a veder finire in mano a Daimler Benz.
Si impegna in diverse attività benefiche, soprattutto a sostegno della ricerca contro il diabete, dovuto al trauma della perdita della prima moglie, scrive libri di successo, riguardanti la sua vita professionale e i problemi della società americana, e trascorre il tempo con le figlie, avute dal primo matrimonio, e con i nipoti.
Lee Iacocca è stato un uomo che, per tanti aspetti, ricorda molto Sergio Marchionne alla guida della Fiat. Uno che ha molto diviso l’opinione pubblica, che ha fatto parlare molto di sé anche nel mondo della politica, e che ha lasciato un segno indelebile nella storia industriale ed economica americana.