Non sempre 1+1 è uguale a 2. Non nel mondo della finanza e soprattutto non quando si parla di aziende ad alto valore aggiunto come quelle legate al lusso o alla tecnologia.
L’annuncio dello scorporo di Automobili Lamborghini Spa dal Gruppo Volkswagen va letto partendo da questo presupposto. Che segue peraltro un’altra storia di successo, quella di Ferrari che dopo la separazione da FCA e l’approdo in Borsa nel 2015, è volata da 10 e 35 miliardi di capitalizzazione.
Exploit del genere non sono automatici ovviamente. Serve il brand, il prodotto, una visione e l’uomo giusto per rappresentarla in modo credibile, come sembrerebbe essere sulla carta Stephan Winkelmann.
Razionalizzare fa bene
Tornando all’addizione che smentisce la matematica, come in un grande puzzle, si tratta di mantenere la visione del quadro d’insieme e non focalizzarsi sulla singola tessera. Il Gruppo Volkswagen, negli ultimi anni ha utilizzato cifre ingenti, prima per saldare i conti legati al Dieselgate e, più recentemente, per sancire la definitiva svolta verso l’elettrico e la digitalizzazione con un piano da 73 miliardi di investimenti entro il 2025.
Per fare cassa potrebbe vendere i gioielli di famiglia, cosa che magari farà nel caso di Bugatti e Ducati, oppure essere più lungimirante e scorporare attività che, se liberate, possono aumentare il loro valore e portare comunque utili, mantenendo il guinzaglio societario.

Il Gruppo di Wolfsburg, come tutte le Case auto tradizionali, si porta dietro la pesante eredità dei motori a combustione, con tutto quello che significa in termini di personale, costi, piattaforme, fornitori e approvvigionamenti ma, per guardare al futuro, bisogna avere il coraggio di tagliare con il passato, oppure permettere ai gioielli di volare con le proprie ali per andare più lontano.
Lo spin-off di Lamborghini va proprio in questo senso. Una razionalizzazione che permetterebbe a Volkswagen di riavvicinarsi alle valutazioni di Tesla, volate anche loro perché l’azienda di Elon Musk è molto di più di una semplice Casa auto, la stessa direzione indicata da Herbert Diess recentemente.

Aumentare il valore per tutti gli stakeholders
Audi comprò Lamborghini nel 1998 per circa 100 miliardi di vecchie lire, 60 milioni di euro, e oggi vale circa 10 miliardi, secondo le ultime stime di Bloomberg, mentre tutto il Gruppo Volkswagen capitalizza in Borsa circa 80 miliardi di euro.
La Casa di Sant’Agata Bolognese, staccandosi dal Gruppo, potrebbe seguire la strada già tracciata da Ferrari. Non più solo aziende di auto, ma aziende legate al settore del lusso, con valutazioni e logiche sottostanti molto diverse. Aziende per le quali sono cruciali elementi come la rarità più che la produzione di massa, la personalizzazione e i modelli one-off più che i restyling.
Dal momento in cui Lamborghini dovrà camminare con le proprie gambe dovrà però affrontare questioni importanti: come finanziare la svolta elettrica, che piattaforme utilizzare visto che al momento è molto legata ad Audi, su quali nuovi modelli puntare per massimizzare i margini, e molte altre scelte strategiche che, fino ad ora, sono state fatte poggiando sulle spalle larghe di “mamma” Volkswagen.
Ma ci saranno anche i vantaggi di poter contare su nuovi investimenti e nuovi investitori, su una struttura più snella e agile, sull’accesso ai mercati per finanziarsi autonomo. Complessivamente un’operazione che potrebbe creare molto valore per tutti gli stakeholders, non solo per gli azionisti.
Non un processo indolore, anche perché per poter decidere un’operazione del genere bisogna mettere intorno al tavolo interlocutori molto diversi: dalla famiglia Porsche ai sindacati, dallo Stato (la Bassa Sassonia è azionista in VW al 20%) agli altri azionisti.
Lo spin-off di Lamborghini però potrebbe mettere tutti d’accordo e, in un colpo solo, snellire la struttura di Volkswagen e mettere le ali a un Toro imbizzarrito che non vede l’ora di volare da solo. Ma potrebbe essere solo il primo passo.
Il successivo potrebbe essere la quotazione di Porsche. Sempre secondo Bloomberg, Porsche potrebbe valere, da sola, circa 110 miliardi di euro, ben più della capitalizzazione attuale in Borsa di tutto il Gruppo Volkswagen.
Perché, appunto, non sempre 1+1 è uguale a 2.
