Alla fine degli anni Cinquanta l’Italia è nel pieno del miracolo economico, gli stipendi crescono del 6% all’anno e l’industria segna record continui. Nel solo triennio 1957-1960 la produzione cresce del 31,4%, con il comparto dell’auto che segna uno strepitoso +89%. A trainare il mercato è la Fiat 600, ma i maggiori guadagni fanno lievitare le vendite anche dei modelli più costosi. Come quelli dell’Alfa Romeo, marchio tra i più apprezzati da chi ama la guida sportiva o, più semplicemente, il piacere del volante. La berlina di riferimento è la Giulietta, un’auto così bella da essere ribattezzata la “fidanzata d’Italia”. Ma pure con una meccanica che assicura prestazioni di rilievo e un comportamento stradale invidiabile. Un modello così riuscito che molti considerano insostituibile. Non la pensano allo stesso modo al quartier generale del marchio Biscione, ben consapevoli che per rimanere al vertice del segmento si continuare a innovare.

OBIETTIVO: MIGLIORARE LA GIULIETTA

Il compito di progettare la futura media con la scudetto è affidato a un team collaudato, lo stesso che ha firmato la 1900, modello di successo del dopoguerra, e la stessa Giulietta. Una squadra con al vertice Orazio Satta Puliga, ingegnere colto e dall’animo tranquillo entrato al Portello nel 1938 e divenuto Direttore Centrale nel 1959, e costituito da uomini di valore, come l’irascibile e geniale Giuseppe Busso, l’abile Ivo Colucci o i bravissimi Livio Nicolis e Giuseppe Scarnati. Il gruppo ha carta bianca. L’idea è di non stravolgere un modello vincente, ma migliorarlo. La struttura di base, quindi, rimane quella della Giulietta, mentre ci si concentra nel perfezionare i singoli componenti e nel ammodernare la linea con le tendenze del momento. Nel 1959 lo sviluppo della nuova Alfa è a buon punto, tanto che si è già realizzato un prototipo dalle linee più squadrate e qualche “pinna” in stile USA dall’estetica gradevole.

SI RICOMINCIA DA CAPO

A dare un duro colpo ai piani di Satta Puliga e dei suoi collaboratori è il Salone di Londra del 1959, dove la delegazione di tecnici Alfa scopre con stupore che alcuni dei modelli esposti dalla concorrenza contengono soluzioni estetiche della futura auto del Biscione. Lo sconcerto è tanto e pone gli uomini del Portello di fronte a una scelta importante: proseguire sulla strada intrapresa rischiando di arrivare sul mercato con un modello “già visto” o gettare al vento anni di minuzioso lavoro per sviluppare in fretta qualcosa di nuovo? La decisione è difficile, ma dopo accalorate riunioni tra dirigenza e tecnici si giunge al verdetto che, come racconta Lorenzo Ardizio nel libro “Alfa Romeo Giulietta” pubblicato da Giorgio Nada Editore, rappresenta “una delle pagine più coraggiose ed affascinanti di storia dell’auto: i prototipi vengono messi in un angolo, i disegni archiviati, e tutti si buttano a capofitto in un progetto che avrebbe dovuto – semplicemente – raggiungere l’eccellenza da ogni punto di vista: strutturale, stilistico e aerodinamico”. Ad essere confermato è soltanto il motore, che sarà quello già al vertice di categoria della Giulietta, ma con cilindrata elevata da 1,3 a 1,6 litri e riprogettato nei suoi componenti per renderlo ancora più efficiente.

IL NUOVO IMPIANTO DI ARESE

Se i tecnici hanno voluto fortemente creare un’auto “rivoluzionaria”, la dirigenza crede a tal punto nel progetto da investire ingenti risorse per avviare due nuove strutture indispensabili per modernizzare l’azienda: un nuovo impianto produttivo e una pista prova. Iniziative approvate dal neopresidente Alfa Romeo, il “poeta” Giuseppe Luraghi, che iniziano a concretizzarsi a partire dal 1960 con la realizzazione dello stabilimento di Arese, a 15 km da Milano. Un impianto di 2,5 milioni di mq pensato per produrre 150.000 vetture all’anno, quantità enorme se si pensa che nei 40 anni prebellici dagli stabilimenti del Portello sono uscite poco più di 12.000 vetture, che nel decennio di produzione la 1900 è stata realizzata in 20.000 esemplari e che la richiestissima Giulietta non ha ancora raggiunto quota 100.000 unità consegnate. Un traguardo superato nel febbraio del 1961 e festeggiato con un’allegra cerimonia che per madrina ha l’attrice Giulietta Masina. A fine carriera, nel 1965, il conteggio delle consegne di undici anni di produzione si ferma comunque a 180.000 vetture.

UNA PISTA PER I MAGNIFICI SETTE

Altrettanto innovativo è il progetto della pista di collaudo. Con le strade sempre più trafficate il lavoro indispensabile dei collaudatori diviene sempre più difficile da effettuare in sicurezza. Si decide allora di costruire a 60 km da Milano, in un’area di 190 ettari immersa nelle risaie del vercellese, uno dei primi tracciati europei pensati per il collaudo delle vetture. Una struttura fondamentale per sperimentare e sviluppare le soluzioni meccaniche ideate dai tecnici per i modelli di serie e per quelli destinati alle competizioni, tanto che molte curve del neonato circuito sono “repliche” di quelle presenti nelle più famose piste del mondo. Una scelta, per altro, ineluttabile considerato che il ruolo del collaudatore in Alfa è storicamente di primo piano. A loro spetta, infatti, testare sull’asfalto con una guida al limite i componenti progettati su carta, approvarli, bocciarli o proporne modifiche. Ma soprattutto hanno il compito conferire la giusta messa a punto che esalta l’anima Alfa, quella che non può essere rappresentata da numeri o schemi, ma che fornisce ai modelli del Biscione emozioni di guida unici nel suo genere. Un ruolo, non a caso, ricoperto da piloti di valore, come Giuseppe Campari o Antonio Ascari nel periodo prebellico, e che per la Giulia si avvale dei “magnifici sette”, che oltre all’uomo simbolo Consalvo Sanesi, comprende Moroni, Bonini, Galvan, Brignoli, Distani e Zanardi.

L’HA DISEGNATA IL VENTO

Nel frattempo il progetto della nuova berlina tre volumi, che si chiamerà Giulia, va avanti celermente. Satta Puliga e i suoi tecnici lavorano alacremente pensando a soluzioni rivoluzionarie. Una di queste riguarda l’aerodinamica, al quale lavora l’Ufficio Stile diretto da Ivo Colucci con il supporto, tra gli altri, di Giuseppe Scarnati, Ettore Favilla e Ernesto Cattoni. A suo interno c’è anche lo scultore Nilo Zucchelli, figura artistica che dopo il positivo esempio di Flaminio Bertoni è sempre più presente nelle case automobilistiche per realizzare modellini tridimensionali utili per definire l’estetica e per studiare i flussi d’aria. Impegno, quest’ultimo, sul quale si concentra il gruppo per ridurre al minimo la resistenza aerodinamica. Da anni si sa che la linea ideale è quella a goccia d’acqua, ma inserire una coda filante in un modello di serie non è compito facile. Meglio optare per la soluzione intermedia, la “coda troncata” a una certa distanza dal tetto che limita la creazione di vortici dietro la vettura. Un’idea concepita negli anni Trenta e che all’Alfa Romeo hanno già sperimentato durante lo sviluppo della 1900, poi abbandonata per una linea più classica. A dare l’impulso ai progettisti della Giulia sono le sperimentazioni alla galleria del vento del Politecnico di Torino e, soprattutto, le corse con gli ottimi risultati ottenuti negli anni Cinquanta dalla Giulietta SZ. Oltre che sulla “coda” Colucci e colleghi cercano di eliminare turbolenze e attriti in tutta la carrozzeria: il parabrezza è inclinato e ha angoli smussati, il frontale abbassato, ridotto e privato di ogni sporgenza, la fiancata modellata con scalfature che migliorano la penetrazione e convogliano i flussi d’aria verso il posteriore. Il risultato è un Cx di 0,34, il migliore mai ottenuto da una berlina dell’epoca e che sarà sfruttato per promuovere il futuro modello con lo slogan “Giulia, ha disegnata il vento”.

A PROVA DI CRASH TEST

La vera rivoluzione della prossima media Alfa è più nascosto e riguarda la sicurezza passiva. Per la prima volta nella storia dell’auto la tutela degli occupanti assume un ruolo di rilievo nella progettazione di una vettura. Un obiettivo perseguito soprattutto con la creazione di una struttura portante a resistenza differenziata, con anteriore a posteriore addetti ad assorbire l’energia cinetica di eventuali urti e l’abitacolo rinforzato per proteggere gli occupanti. Con la stessa finalità si inserisce la scatola del cambio dietro al motore contro la parete parafiamma, gli organi meccanici sono fissati con supporti che evitano di farli entrane nell’abitacolo e il piantone dello sterzo è pensato per scongiurare che il volante colpisca torace o testa del guidatore. A completare il “pacchetto” sicurezza sono pure l’imbottitura extra degli schienali anteriori, il parabrezza eiettabile e l’assenza di pericolosi spigoli all’interno dell’abitacolo. Un’attenzione per la protezione dei passeggeri, ottenuta con rudimentali crash test, che anticipa di alcuni anni le legislazioni americane ed europee sugli standard di sicurezza.

APPUNTAMENTO A MONZA

Si è ormai all’inizio degli anni Sessanta e la Giulia è praticamente pronta per essere presentata. A fare salire la tensione tra i responsabili del Portello sono i ritardi dei lavori nello stabilimento di Arese che costringe la dirigenza a fare stampare i primi lamierati in Inghilterra e a trovare una nuova location per la presentazione del modello alla stampa, fino ad allora fissato proprio all’interno dell’impianto alla porte di Milano. Un problema, quest’ultimo, risolto senza difficoltà: il debutto dell’erede della Giulietta si farà nel tempio dei motori dove i modelli con lo “scudetto” hanno più volte trionfato e dove i collaudatori delle vetture da corsa sono abituati a consumare gomme e asfalto per trovare la messa a punto ottimale: l’Autodromo di Monza.

Qui Storia dell’Alfa Romeo Giulia, parte seconda

Fotogallery: Storia dell’Alfa Romeo Giulia, parte prima