È ancora lontano il giorno in cui, sfogliando il lungo catalogo di Amazon, troveremo anche i carburanti tra i prodotti da comprare. Eppure l’argomento sembra interessare Jeff Bezos, “papà” del gigante dell’e-commerce, che ha sfruttato il tema per lanciare una (nuova) stoccata a Joe Biden.
A finire nel mirino del terzo uomo più ricco al mondo è stato un tweet scritto proprio dal presidente Usa, che invitava le compagnie petrolifere d’Oltreoceano ad abbassare “subito” i prezzi alla pompa della benzina, ormai stabilmente Oltreoceano sopra i 5 dollari a gallone (pari a circa 1,30 euro/litro, beati loro verrebbe da dire). La riposta di Bezos? Piuttosto piccata.
Schermaglie a base di tweet
“Ahia – esordisce mr. Amazon su Twitter, citando il post di Biden –. L’inflazione è un problema troppo importante perché la Casa Bianca continui a fare dichiarazioni come questa. O si tratta di un errore o di poca conoscenza delle basilari dinamiche di mercato”.
Altra benzina sul fuoco (è il caso di dirlo) l’ha poi gettata Karine Jean-Pierre, addetta stampa della Casa Bianca, che avrebbe alimentato le polemiche mescolato direttamente il tema delle quotazioni del petrolio con quello del carburante alla pompa, tralasciando i diversi passaggi che portano alla effettiva fissazione del prezzo finale.
Il precedente
Il perché di questo botta e risposta? Oltre al caso di specie, tutto nasce da vecchie ruggini tra Bezos e Biden. Per capire bene, dobbiamo riavvolgere il nastro di un mese e mezzo, anche se il campo di battaglia rimane lo stesso. Era metà maggio quando il presidente cinguettava che per combattere l’inflazione avrebbe acceso un faro sulle tasse delle multinazionali. In quell’occasione, Bezos, implicitamente chiamato in causa, ci andò giù duro:
“Il nuovo Comitato per la disinformazione appena creato dovrebbe rivedere questo tweet, o forse andrebbe formato nuovo Consiglio Non Sequitur. L’aumento delle tasse sulle società va bene per discutere. Domare l’inflazione è fondamentale per parlare. Mettere insieme gli argomenti è solo un errore fuorviante”.
Intanto in Libia (e in Norvegia)
Insomma, i due litiganti non se le mandano di certo a dire. Ma mentre il patron di Amazon e la Casa Bianca battibeccano a distanza, a preoccupare veramente i mercati del petrolio è la situazione in Libia, dove si registrano nuovi disordini sulla scia dell’annosa guerra civile.
Negli ultimi giorni, i cittadini sono scesi in strada per protestare contro le dure condizioni di vita a cui sono costretti, per contestare le continue interruzioni di corrente e per invocare nuove elezioni. Una polveriera che sta colpendo le esportazioni locali di greggio, già scese a 365.000-409.000 barili al giorno, contro uno standard di 865.000 barili/giorno.

Come se non bastasse, nuove nubi minacciano dall’orizzonte della Norvegia, con i lavoratori del settore oil&gas che promettono di scioperare da domani, 5 luglio, se non ci sarà un adeguamento degli stipendi all’inflazione. Il blocco potrebbe ridurre l’export di 130.000 barili/giorno, circa il 6,5% della produzione norvegese. La situazione è in continua evoluzione e potrebbe cambiare da un momento all’altro con un accordo tra sindacati e Oslo.
Intanto, gli automobilisti italiani continuano a vedere i prezzi di benzina e diesel stabilmente sopra i 2 euro/litro e aspettano di sapere cosa farà il Governo per il 2 agosto, ultimo giorno di operatività del taglio delle accise. I segnali che arrivano dall’estero potrebbero essere il campanello d’allarme che spingerà l’esecutivo a intervenire in vista del mese più caldo sulle strade della Penisola.