L’auto elettrica italiana viaggia ancora lentamente. Basta un dato per fotografare la mobilità nella Penisola: 4,1%. È questa la quota di mercato tricolore a ottobre scorso; una percentuale quattro volte inferiore al resto d’Europa, dove le immatricolazioni delle vetture full electric raggiungono un market share del 16,8% (a settembre).
Ma perché il nostro Paese è così in ritardo rispetto alla media del continente? Il ministro Gilberto Pichetto Fratin, responsabile dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase), ha la sua riposta: la colpa è degli stipendi troppo bassi.
Questione di bilancio
“È un fatto principalmente di ordine economico – spiega Pichetto all’Automotive Business Summit 2023 de Il Sole 24 Ore –, perché il salario medio italiano avrebbe bisogno di un’integrazione almeno del 50% o 60% per essere alla pari del salario tedesco e, quindi, si dovrebbe di fatto avere un incentivo, una contribuzione pubblica per l’elettrico di dimensioni, triple, quadruple rispetto all’attuale stanziamento”.
Auto elettrica in carica
Sono però due gli ostacoli che impedirebbero al Governo di elargire bonus più ricchi: “Il bilancio dello Stato non può permettersi interventi di questo genere, quindi il percorso riguarda il sistema industriale, il sistema produttivo, per arrivare a prezzi che siano compatibili con il mercato”.
Un discorso che si intreccia con quello sul rinnovo del nostro parco circolante, il più vecchio d’Europa: “La rottamazione delle auto più inquinanti è un’azione da farsi compatibilmente con il bilancio dello Stato, ma il Mimit non ha un quantitativo enorme di risorse per fare questa operazione realistica e massiccia”.
“L’Italia – aggiunge il ministro – ha 40 milioni di veicoli, di cui 2 milioni e mezzo di Euro 1 ed Euro 2 che inquinano 28 volte più di un Euro 6. Valgono 300 euro e fanno pochi chilometri al mese, ma sono comunque da togliere”.
Impianto per la produzione di biocarburanti
“Non solo elettrico”
Pichetto concede poi una battuta sulla decisione (non definitiva) del Parlamento europeo di posticipare l’entrata in vigore dell’Euro 7 ad almeno il 2027, rispetto alla precedente previsione al 2025: quello sulla nuova classe ambientale “è un percorso nato prima di Fit for 55 e, perciò, determinava quasi un obbligo di produrre un bene molto costoso sapendo già che sarebbe nato moribondo”.
Spazio anche al cavallo di battaglia dell’esecutivo, ovvero i biocarburanti: “L’elettrico è la strada principale da percorrere, perché il motore ha sette volte meno pezzi dell’endotermico, è più facile da produrre e ha una serie di vantaggi, ma la questione non si risolve obbligando; ci sono dei percorsi anche sul motore endotermico”.
Niente alibi
All’Automotive Business Summit è presente anche Andrea Cardinali, direttore generale di Unrae, che dice la sua sulla transizione italiana: “Noi parliamo di neutralità tecnologica da tempi non sospetti. Alle nuove tecnologie occorre però una certa maturità e nessuna tecnologia ha oggi la stessa maturità dell’elettrico. Avere a disposizione più strumenti non può essere un alibi per non fare quello che occorre fare”.
“Ci sono dei gap che ci separano dagli altri Paesi: geografico, infrastrutturale, reddituale, e ci sono cose da fare che andrebbero fatte, perché il nostro Paese ha una tradizione automotive più che centenaria. Ha perso la leadership, ma non per l’elettrificazione o per colpa dei cinesi; c’è stata una deindustrializzazione. Dobbiamo evitare la desertificazione”.
Concessionaria auto
È d’accordo Marco Stella, vicepresidente di Anfia: “Un Paese manifatturiero non può essere competitivo se i volumi non sono importanti, quindi bisogna determinare strumenti per sostenere la produzione e mettere in campo iniziative forti e potenti anche per la riconversione delle competenze dei lavoratori”.
Futuro incerto
Ma tutto ciò potrebbe non bastare se non si convincono anche gli automobilisti. Ne è sicuro Luca Ventrone, Communication ed External affairs General manager di Toyota: “Vediamo della ritrosia a passare all’elettrico, ma le soluzioni sulla mobilità vanno a risolvere o mitigare i dubbi. È il modo ideale per provare un’auto elettrica e capire se fa per noi”.
A questo punto, la domanda è: quale sarà il futuro dell’auto in Italia? “Immagino – si sbilancia Santo Ficili, country manager Italia di Stellantis – una leggera crescita nel tempo e nel breve periodo. Poi ritengo stabilizzarsi, in considerazione dei fattori positivi e negativi che influenzeranno il settore automotive”.