Nessuno sa se in Chrysler abbiano deciso prima il nome e attorno a questo abbiano definito il progetto, oppure se, resisi conto di cosa avevano combinato, non avessero altra scelta che chiamarla così: Viper. Difficile pensare a qualcosa di più azzeccato. La due posti americana a marchio Dodge - dell'allora Gruppo Chrysler e oggi di Fiat Chrysler Automobiles - non solo ha lo sguardo della vipera, ma anche e soprattutto il suo carattere "vendicativo". Trattatela bene, anzi ignoratela: lei vive e vi lascia vivere. Avvicinatevi, osate sfiorarla e preparatevi ai guai. Ovviamente stiamo parlando della prima serie, quella del 1992, priva di qualsiasi ausilio elettronico e dotata di un telaio tubolare a dir poco "grossolano". Il tempo però è impietoso, dalle norme di sicurezza non si scappa e nemmeno dalle legittime logiche di profitto delle aziende: la due posti con motore aspirato più potente e dalla coppia più elevata al mondo non solo è destinata a uscire dal mercato per via dell'impossibilità di montare gli airbag laterali, ma rischia di non avere un'erede. E pensare che nel 1991, ancor prima di entrare in produzione e nei sogni degli appassionati in giro per il mondo, guida il plotone di monoposto al via della 500 Miglia di Indianapolis: al volante di questo prototipo della Viper c'è un certo Carrol Shelby.
Tale e quale al concept
Il motivo che porta al concepimento della Viper, nei piani alti della Chrysler, è piuttosto insolito: la noia. Dopo aver ottenuto, nel 1979, un importante prestito (garantito dal Governo Americano) per uscire da una difficile crisi, in Chrysler si mettono molto giudiziosamente al lavoro su automobili razionali e dai grandi volumi assicurati. Ma noiose. Così nel 1988, risanati i conti grazie alle famose K-Cars (Dodge Aries, Plymouth Reliant e Caravelle...), a Detroit reputano che è giunto il momento di tornare a fare ciò per cui si sono iscritti alla facoltà di ingegneria: dare sfogo alla propria passione. E lo fanno senza freni inibitori, anzi, quasi con ostentata voglia di recuperare il tempo "perso". Al Salone di Detroit del 1989, la Viper concept viene svelata al pubblico, che la accoglie con entusiasmo raro, al punto che in America qualcuno arriva a sostenere che "è come se Abraham Lincoln fosse resuscitato". Metafore a stelle e strisce a parte, il risultato è il seguente: il numero uno di Chrysler, Bob Lutz, dà il via alle operazioni e incarica il capo dei progettisti Roy Sjoberg di sviluppare il prodotto di serie. Sjoberg recluta 85 ingegneri.
Un tocco di italianità
La scuola automobilistica americana, si sa, fino a qualche anno fa seguiva una sola regola: bigger is better. E la Viper, sotto il cofano, ne è la rappresentazione più autentica. Il motore della prima generazione è un V10 da 8 litri derivato da quello di un pick-up, ma con l'aggiunta di due cilindri e rivisto dai tecnici Lamborghini, che in quegli anni è in mani americane. Ne esce qualcosa di mostruoso. Non tanto in termini relativi - 400 CV, divisi per 8.000cc di cilindrata, danno una potenza specifica (i CV per 1.000cc di cilindrata) da utilitaria europea: 50 CV/litro - quanto assoluti: 662 Nm di coppia, affidati al buon senso del guidatore e alla sensibilità del suo piede destro sono un'arma potenzialmente letale. A scaricarli sull'asfalto provvedono pneumatici posteriori 335/35-17, mentre i cerchi anteriori, sempre da 17", calzano dei 275/40.
Una targa a due posti secchi
I gusti sono gusti, lo ripetiamo sempre, ma la Viper prima maniera ha proporzioni talmente azzeccate, lamiere che fasciano la tracotante meccanica in modo così sexy, che la si può tranquillamente definire bella in modo oggettivo. E irresistibile. Persino il più radicale detrattore delle auto americane, se si parla esclusivamente di design, di fronte alla Viper è costretto quanto meno al "no comment", per orgoglio. Un muso che non finisce più e che avvolge parte dell'abitacolo, rilasciando il suo "abbraccio" con due enormi sfoghi dell'aria in corrispondenza delle portiere, una coda corta e raccolta, il tetto asportabile in stile targa (anche se in Dodge la definiscono roadster), gli scarichi laterali: a distanza di 24 anni, la Viper resta una delle migliori rappresentazioni del concetto di "design in movimento", a ruote ferme. Dal punto di vista tecnico, il telaio è tubolare, la carrozzeria in vetroresina e le sospensioni sono a quattro ruote indipendenti. Niente ABS né, tantomeno, controllo di trazione e/o stabilità.
Nel 1996 inizia anche a ruggire
Grande e grosso in tutto, il V10 8.0 non entusiasma per la sua voce, quasi timida. Dodge "ammette" la lacuna e nel 1996 presenta la soluzione: sulla GTS Coupé, gli scarichi si allungano fino alla coda e, se è vero che un pizzico di personalità viene persa per strada, la voce si rischiara e si fa decisamente più minacciosa. Per l'occasione, la potenza viene portata a 450 CV, mentre le sospensioni guadagnano bracci in alluminio (togliendo peso dove conta di più: nelle masse non sospese), il motore viene dotato di centralina OBD II per un migliore controllo delle emissioni e il doppio airbag è standard. L'ABS arriva invece solo nel 2001.
Qualità, questa sconosciuta
Fin qui, l'aspetto sentimentale, che per certi aspetti è anche l'unico che potrebbe interessare, quando si parla di automobili così. Detto questo, però, siccome la Viper non è mai stata "regalata", fa rabbia pensare che dopo dieci minuti il pavimento dell'abitacolo comincia a scottare, lateralmete, al punto che il guidatore e il passeggero devono continuamente sollevare la gamba sinistra e la destra, rispettivamente. La colpa è degli scarichi che passano lì sotto. Per non parlare delle plastiche degli interni: gli americani le definiscono "terribilmente povere". Dello stesso tenore la qualità dell'assemblaggio, visto che tra i vari pannelli di vetroresina ci sono spazi a dir poco ampi e variabili. Se a tutto ciò si aggiungono il diametro di sterzata da camion, il comfort inesistente e i consumi da petroliera, la Viper risulta pressoché inutilizzabile, se non su (ampie) strade fuori dalla città e dall'autostrada.
2003, la seconda generazione
100% Viper, ma "smussata" nei suoi spigoli più acuti e migliorata in quegli aspetti che tanto facevano rabbia sulla prima generazione (comfort, assemblaggio, etc.): questo è, in estrema sintesi, la Viper II, in versione aperta e coupé. E più potente e cattiva ancora: 8,3 litri di cilindrata, 500 CV e 712 Nm di coppia. Il tutto, si innesta su un telaio dal passo più lungo (che migliora la stabilità sul veloce e l'accessibilità a bordo), su un peso ridotto di ben 230 kg e su un telaio più rigido. Nel 2008 arriva il restyling: la potenza sale a 600 CV e la coppia a 760 Nm (grazie a valvole più larghe, oltre che a fasatura variabile), gestiti da Michelin Pilot Sport 2 e da sospensioni riviste nelle molle, negli ammortizzatori e nelle barre antirollio. La cura del reparto SRT (Street and Racing Technology) di Chrysler le fa decisamente bene.
Nel 2013 la terza generazione, l'attuale
Svelata al Salone di New York del 2012, la Viper di terza generazione vede crescere ulteriormente la cilindrata, a quota 8,4 litri, la potenza (650 CV) e la coppia (813 Nm). Per contenere tanta prepotenza, il telaio è più rigido del 50%, mentre il controllo di stabilità è di serie e l'impianto frenante è realizzato dalla Brembo. La velocità massima tocca i 332 km/h, mentre lo 0-60 miglia (0-96 km/h) è coperto in 3,5 secondi. Insieme alle prestazioni, cresce la cura per l'interno: rivestimenti in pelle, contrasti di colore sui sedili e molto altro ancora contribuiscono a farne una vettura molto più utilizzabile tutti i giorni e - soprattutto - più adeguata alle cifre richieste per comprarla. Numerose, dal 2013 a oggi, le versioni: SRT Viper e Viper GTS, Viper SRT e SRT Viper TA e TA 2.0. A caratterizzarle, kit estetici e/o tecnici specifici, il cui obiettivo è quello di cercare di risollevare le vendite, che però nel 2015 sono davvero limitate: 676 unità.
Nuova Viper GTS: il suono del V10 8.4 litri
Il sound del motore V10 della nuova SRT Viper GTS. 8.4 litri, 648 CV, 810 Nm di coppia: è il motore automobilistico dalla cilindrata più alta sul mercato