“L’auto elettrica cancellerà 70.000 posti di lavoro. La rete non reggerà le ricariche e non riusciremo a smaltire le batterie”. Sono tante le informazioni sbagliate o imprecise che si leggono sulla proposta di vietare le vendite di motori termici in Europa dal 2035. Comprese quelle appena riportate.
Perché se è vero che la rivoluzione green rappresenta una sfida senza precedenti, è altrettanto vero che la transizione è soprattutto un’opportunità. Basta saperla cavalcare. Ecco quindi una serie di considerazioni che cercano di fare chiarezza su uno degli argomenti più discussi dell’ultimo anno e mezzo.
La roadmap
Prima di tutto, va sottolineato che, dopo l’ultimo passaggio all’Europarlamento, mancano ancora due step per l’entrata in vigore del regolamento: l’approvazione dell’accordo da parte del Consiglio dell’Ue, dove Italia e altri provano a porre il veto, e la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione.
Oltre a questo, bisogna ricordare che la normativa in discussione non prevede solo il bando dal 2035, ma anche una tappa intermedia al 2030, che chiede ai Costruttori di ridurre del 55% le emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 2021. In più, resta fermo il taglio del 15% al 2025 già stabilito in precedenza.
Ciò significa che dal 2025 il livello medio delle emissioni di CO2 della gamma di ogni Costruttore dovrà scendere sempre di più sotto il limite dei 95 g/km (147 g/km per i furgoni) fissato per il 2021. Obiettivi specifici sono però fissati annualmente per i singoli produttori in base anche al peso delle vetture prodotte.
Obiettivi CO2 per auto e furgoni
Anno/Veicolo | Auto | Furgoni |
2021 | 95 g/km | 147 g/km |
2025 | -15% (81 g/km) | -15% (125 g/km) |
2030 | -55% (42 g/km) | -50% (73 g/km) |
2035 | -100% (0 g/km) | -100% (0 g/km) |
Solo auto elettriche? No
Ma quali sono le vetture nel mirino? La risposta non è così scontata, perché il regolamento non ferma espressamente le vendite di benzina e diesel per consentire le immatricolazioni di sole auto elettriche, ma impone che tutti i motori immatricolati dal 1° gennaio 2035 riducano le emissioni del 100% rispetto al 2021.
Significa che potrà scendere in strada qualsiasi altra tecnologia priva di CO2 o altri gas serra. Certo, è evidente che, al momento, solo le vetture full electric e a idrogeno si candidano a rimanere in concessionaria, ma nuove scoperte potrebbero ribaltare l’attualità.
Bruxelles ha perciò lasciato la porta aperta a eFuels e biocarburanti, più sostenibili dei carburanti tradizionali, ma non ancora 100% green. Sarà dunque compito della Commissione europea valutare gli eventuali progressi ambientali di queste soluzioni.
Se raggiungeranno le zero emissioni entro il 2026, l’esecutivo Ue potrà valutare possibili revisioni alla normativa. La battaglia al Consiglio dell’Ue si combatte tutta su questo punto, per dare già oggi un riconoscimento ai carburanti rinnovabili.
I carburanti sintetici salveranno i motori a combustione?
Ci sono poi due eccezioni. Si tratta di una deroga totale per chi produce meno di 1.000 auto all’anno, che non sarà obbligato a salutare i motori termici, e una deroga parziale per chi sforna da 1.000 a 10.000 vetture l’anno (oppure da 1.000 a 22.000 furgoni): in questo secondo caso, vale l’addio dal 2035, ma non valgono le altre due tappe. Effetto del cosiddetto “salva Motor Valley italiana”.
Deroghe
- Totale: produzione < 1.000 auto/anno
- Parziale: produzione a 1.000-10.000 auto/anno (vale solo lo stop al 2035)
Guardando solo i numeri produttivi della normativa proposta, occorre però dire che Ferrari è già abbondantemente oltre la soglia delle 10.000 auto all’anno, avendo toccato le 13.221 unità nel 2022. Anche Lamborghini si appresta a superare questa soglia, con le sue 9.233 consegne globali nel 2022, mentre Maserati è da anni oltre questo tetto.
Ferrari 296 GTS
Insomma, il “salva Ferrari” sembrerebbe alla fine poter salvare solo i nomi di nicchia della Motor Valley emiliana, cioè Dallara, Pagani e Ares Modena.
Più lavoro
Ancora, il divieto riguarderà solo le auto nuove; non la circolazione e, perciò, nemmeno la vendita di vetture usate, il cui valore potrebbe aumentare in modo imprevedibile. Il vero nodo è però un altro: cosa succederà a migliaia di impiegati del comparto?
Qualcuno – come accennato – denuncia la perdita di circa 70.000 dipendenti in Italia, mentre altri spiegano che la transizione può solo fare bene all’occupazione. Per esempio Cami e Motus-E, che a dicembre hanno preso una posizione molto netta con lo studio “Le trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano”.
Auto elettrica in carica
Il report va controcorrente e spiega che, da qui al 2030, i posti di lavoro potrebbero addirittura crescere del 6% lungo la filiera. Sono due i segreti dell’eventuale successo: investire nel verde, invece di farsi prendere dal panico, e non guardare alla sola industria dell’auto, ma tenere conto di tutte le nuove professioni e competenze che nasceranno nei prossimi anni. Basta pensare a batterie e riciclo.
- Rischio: -70.000 posti di lavoro
- Opportunità: occupazione al +6% lungo la filiera auto
Bisogna però rimboccarsi le maniche, con politiche decise e semplificazione normativa. Accelerare sulle colonnine di ricarica sarà sicuramente una delle guide verso il porto sicuro. L’invito è perciò a fare più azioni e meno allarmismi. Anche perché l’auto elettrica italiana è l’unica in Europa che va paurosamente in retromarcia. Non c’è più tempo da perdere.