Emergono una notizia buona e una cattiva dai dati sulle vittime di incidenti stradali in Italia nel decennio 2011-2020: la prima è che i morti sono diminuiti del 42%, addirittura più della media europea, ferma al 37%; la seconda è che, di conseguenza, non è stato raggiunto l’obiettivo fissato dall’Unione europea di dimezzare i numeri.

Come sta andando invece il 2021? I dati del semestre gennaio-giugno dicono che, rispetto al periodo pre-Covid (2017-19), i sinistri sono diminuiti del 22,5%, con i feriti in calo del 27,6% e i morti a -19,8%. Ma si tratta di numeri condizionati dalle restrizioni in vigore a inizio anno.

Scarsa manutenzione

Gli effetti dei lockdown sono ancora più evidenti nei numeri del 2020. Di fronte a queste due facce della stessa medaglia, il target del -50% si sposta al 2030, per arrivare a zero morti, forse, solo nel 2050.

Quali sono le cause del parziale insuccesso? E cosa fare per migliorare? Di questo si è parlato durante il workshop “Dieci anni di sicurezza stradale in Italia: dati e prospettive per l’Agenda 2030”, organizzato da Aci e Istat.

Tra i colpevoli degli incidenti, c’è prima di tutto la cattiva condizione delle strade. “Abbiamo un dato sulla manutenzione estremamente preoccupante”, è il giudizio di Giuseppina Fusco, presidente della fondazione Filippo Caracciolo, che realizzato uno studio sullo stato di salute della rete extraurbana secondaria: in pratica, sull’85% delle vie in tutto il Paese.

“Negli ultimi dieci anni sono stati investiti circa 3.000 euro per chilometro, a fronte di una spesa, stimata insieme al dipartimento di Ingegneria dell’Università di Roma Tre, pari a 46.000”, che comporta “un arretrato di 6,1 miliardi di euro all’anno”. Una cifra “che si contrappone agli 1,6 miliardi annuali destinati dal Pnrr per i prossimi 5 anni”. Fusco chiede quindi di rafforzare l’impegno preso con il Piano.

Per far sì che le strade vengano veramente sistemate, serve però qualcuno che controlli. E questo è il compito di Ansfisa, rappresentata dal direttore Domenico De Bartolomeo: “Facciamo delle verifiche sistematiche e a campione, anche di sorpresa, ma non bastano. Servono investimenti”, è il suo appello.

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E auto troppo vecchie

Alle infrastrutture poco curate, vanno aggiunte le responsabilità del parco auto circolante in Italia, che è il “più vecchio d’Europa”, come ricorda Angelo Sticchi Damiani, presidente di Aci. I dati presentati durante l’evento da Lucia Pennisi, dell’area Professionale statistica Aci, mostrano proprio che più un veicolo è avanti con l’età, più crescono le possibilità di incidenti mortali: si passa da 3,5 decessi ogni 1.000 sinistri nei primi 3 anni di vita della vettura a 8,7 dopo i 10 anni.

Per svecchiare la nostra flotta, Sticchi Damiani propone “incentivo all’acquisto dell’usato anche Euro 5” e di essere “più elastici sul limite del prezzo di listino a 25.000 euro”. Ma, soprattutto, di rendere le prossime auto più sicure con gli Adas, “che attirano l’attenzione nei momenti di scarsa concentrazione”. Il discorso vale in particolare per la mobilità nella terza età.

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Automobilisti al centro

Non vanno però dimenticati altri sistemi, come le chiamate d’emergenza eCall. E poi, per intervenire a monte invece che a valle, bisogna educare gli automobilisti a prestare più attenzione durante la guida. “Gli Adas non devono responsabilizzare”, è il monito di Alessandro Musmeci, area Tecnica e Affari internazionali di Aiscat.

“I controlli ci sono, ma se non vengono affiancati da un lavoro di sensibilizzazione non si va da nessuna parte”, aggiunge Paolo Maria Pomponio, direttore del servizio di Polizia Stradale, mentre Antonio Avenoso, Executive director dello European Transport Safety Council, chiede “tolleranza zero per guida in stato di ebbrezza e sviluppo degli alcol interlock”.

Cos’altro manca

A loro si aggrega Michele Crisci, presidente Unrae: “Nessuna tecnologia può sostituire chi guida”. In più, secondo lui, va creata una vera integrazione della mobilità locale, istruendo sull’argomento le amministrazioni, “che spesso, a differenza di quanto si vede nei Paesi del Nord Europa, non sanno dove intervenire”.

Critiche sono state mosse alla riforma del Codice della Strada: “Speriamo nel 2030 di averne uno nuovo, invece di vedere solo aggiornamenti, perché le toppe non risolvono i problemi, come è successo ora sull’obbligo del casco per i monopattini”, è il pensiero di Roberto Sgalla, Consulta nazionale per la Sicurezza stradale e la Mobilità sostenibile al Cnel.

In arrivo l’Osservatorio

Tutti gli spunti sono stati raccolti da Mauro Bonaretti, capo del dipartimento per la Mobilità sostenibile al Mims, che ha annunciato la costituzione di Osservatorio nazionale sulla sicurezza stradale, proposto all’interno delle linee guida per il Piano nazionale sulla sicurezza stradale 2030, dove “troveranno sede le competenze dei partecipanti al workshop”.