Un vero e proprio terremoto diplomatico su scala mondiale: potrebbe essere definita così la visita della speaker della Camera statunitense, Nancy Pelosi, in Taiwan. La trasferta diplomatica della veterana dem getta ulteriore benzina sul fuoco dei rapporti tesissimi tra la Cina e Taiwan, e alza la tensione anche sul fronte russo-americano.

La reazione cinese non si è fatta attendere: Xi Jinping ha infatti mobilitato l'esercito con una serie di esercitazioni missilistiche a largo di Taiwan e ad alzare la tensione ci ha pensato anche il Cremlino, che tramite il vice presidente del consiglio Dmitri Medvedev ha parlato di "sfiducia colossale" nei confronti degli Stati Uniti.

Il governo della Grande Muraglia però non si muove solo sul fronte militare, ma ha già stretto la morsa economica su Taiwan chiudendo i rubinetti all'esportazione di sabbia naturale. Una decisione che potrebbe avere ripercussioni sull'industria automotive a livello globale.

Taiwan, il paradiso dei chip

L'isola asiatica è il maggiore produttore di semiconduttori, vero e proprio centro nevralgico per le filiere tech di tutte le industrie mondiali. L'embargo della sabbia complica non poco le cose visto che questo elemento è la fonte da cui viene estratto il silicio, componente fondamentale dei chip una volta trasformato da semiconduttore a conduttore puro.

L'assenza di rifornimenti dalla vicina Cina porterebbe quindi ad un naturale calo della produzione, che potrebbe sfociare in un nuovo shortage e nell'impennata dei prezzi.
Uno scenario che preoccupa, indipendentemente dalla visita della Pelosi poco gradita alla Cina, e che, visti i rapporti tesi tra i due paesi, potrebbe destabilizzare periodicamente l'industria del paese.

Per questo uno dei primi incontri nell'agenda della speaker americana è stato con Mark Liu, presidente di Taiwan Semiconductor Manufacturing, che da sola vale il 50% della quota di mercato mondiale, ed è leader nei chip sotto i 28 nanometri, quelli che servono all'industria automotive.

L'obiettivo è ingolosire i colossi nazionali a spostare parte della produzione di chip negli USA, sfruttando i vantaggi del Chips and Science Act, che destina 52 miliardi di dollari all'industria dei chip e una serie di benefici fiscali ai player che decidono di produrre negli Stati Uniti. Una leva che ha già innescato i primi meccanismi, visto che proprio TMSC sta costruendo uno stabilimento in Arizona e attiverà la produzione oltreoceano nel 2024.

Mappa produttori chip mondo
La mappa dei più grandi produttori di chip al mondo

La risposta europea

La crisi dei semiconduttori dovuta alla pandemia aveva già convinto l'Unione Europea a recidere, almeno in parte, il cordone ombelicale con l'Asia e per questo a febbraio 2022 è stato annunciato un maxi-investimento da 45 miliardi di euro, l'European Chips Act. L'obiettivo dichiarato è quello di rendere il Vecchio Continente leader del mercato dei semiconduttori passando dall'attuale quota di mercato su scala mondiale, del 9%, ad un più sostanzioso 20% entro il 2030.

Per riuscirci l'Europa vuole spendere i 45 miliardi di euro finanziati supportando nuove realtà e grandi player, introducendo nuove regole di mercato e collaborando con altre potenze come USA e Giappone. Allo stato attuale però i nomi forti si contano sulle dita di una mano, con Bosch in prima fila.

Chip shortage, atto secondo?

I giorni e le settimane successive al decollo del Boeing della US Air Force da Taipei in direzione Washington D.C. saranno fondamentali per capire se l'industria automotive mondiale dovrà fronteggiare una seconda crisi dei semiconduttori.

Certo è che anche la minima riduzione nell'approviggionamento dei chip potrebbe colpire la filiera dell'auto, visto che la fetta più grossa dei chip oggi appartiene a telecomunicazioni, computer ed elettronica di consumo, che prendono il 65% della domanda di mercato contro l'8% registato nel 2020 dall'automotive.