"C'erano una volta i costruttori di automobili". A guardarla oggi, sembra che l'industria del trasporto privato si avvii a cancellare quello che fino a ieri è stato il suo pilastro fondamentale, vale a dire la produzione di veicoli.
Uno dopo l'altro, infatti, i capi dei principali colossi automotive stanno annunciando la prossima l'evoluzione del loro modello di business verso la fornitura di servizi di mobilità un'attività più articolata di cui i mezzi saranno soltanto un elemento e nemmeno così centrale.
Se l'auto esce dai titoli
L'ultimo in ordine di tempo è stato Carlos Tavares, che nel presentare i risultati finanziari 2021 di Stellantis ha detto: "...siamo concentrati sull’attuazione dei nostri programmi proseguendo nel nostro viaggio per diventare un’azienda tecnologica per la mobilità sostenibile". Il che non significa, evidentemente, soltanto produrre veicoli a basso impatto ambientale. Un concetto ribadito anche in occasione della presentazione del piano strategico "Dare forward 2030", nel quale l'amministratore delegato ha mostrato una slide che non lascia spazio a dubbi "Guidiamo il modo in cui il mondo si muove".
Si tratta, va sottolineato, di un'evoluzione verso un modo più ampio e moderno di intendere i trasporti, ma al tempo stesso sembra voler quasi rinnegare o mettere in secondo piano l'identità e il valore intrinseco dei marchi della loro tradizione, che finora si è basata esclusivamente o quasi su ciò che essi sapevano produrre.
Fino a non molti anni fa, gli slogan pubblicitari dei brand contenevano un messaggio univoco: noi facciamo automobili. Dal lapidario "Das Auto" ("L'auto") che ha accompagnato generazioni di vetture Volkswagen ai "Creatori di automobili" di Renault, fino alla dichiarazione d'amore di Opel, che chiudeva agli spot con un accorato "Wir leben autos" ("Noi amiamo le auto").

Oggi, questa identificazione è uscita non soltanto dalla comunicazione, ma anche dai nomi stessi dei Gruppi. Se la pubblicità spinge su concetti come libertà di movimento, tempo, benessere, sostenibilità, rispetto ambientale, le società stesse si ribattezzano in modo più neutro, addirittura senza alcun apparente richiamo all'auto o al trasporto come nel caso eclatante di Stellantis, o scegliendo di definirsi tutt'al più "motor company".
Il tutto quasi a voler tagliare i ponti con un passato in cui "Automobile Manufacturing", con tutte le sue declinazioni nelle diverse lingue, era parte integrante della ragione sociale di ogni produttore. Cominciando, in Casa nostra, da A.L.F.A. e F.I.A.T, sigle differenti ma con in comune le due lettere che stavano appunto per "Fabbrica" e "Automobili" e definivano intere aziende prima di finire declassate a semplici brand.

Tutti dietro a Volkswagen, qualcuno davanti
La prima ad annunciare in pompa magna la rivoluzione è stata Volkswagen, anche se inizialmente in modo indiretto, tramite la creazione nel 2016 di Moia, società indipendente creata proprio per lo sviluppo di soluzioni di mobilità e con l'obiettivo di "diventare uno dei top player globali per i servizi di mobilità nel medio termine".
Due anni dopo, presentando l'architettura per vetture elettriche MEB e il piano industriale, Anche Herbert Diess ha dichiarato che: "Volkswagen si prepara a diventare un provider di servizi per la mobilità", un concetto poco dopo ribadito dal lancio della piattaforma MoDo (Mobilità di Domani) destinata proprio a preparare il pubblico al grande cambiamento e costruita intorno a questa visione.
Andando a ritroso, tuttavia, scopriamo che il concetto era stato anticipato poco prima da Opel con il lancio in Germania dell'app gratuita CarUnity, una piattaforma sperimentale per la condivisione dell'auto che poteva, ed ecco il punto, anche non essere una Opel. Mentre ancora prima, nel 2011, Peugeot aveva posto le basi per un sistema di accesso al trasporto individuale flessibile che desse accesso a biciclette, ciclomotori e auto tramite un abbonamento.

Una visione comune
Tra Volkswagen e Stellantis si sono pronunciate in proposito anche diversi altri tra i principali costruttori mondiali: il presidente di Kia, Ho Sung Hong, ad esempio lo ha annunciato in occasione del CEO Investor Day nel febbraio 2021, mettendo l'ampliamento dei servizi legati alla mobilità del futuro tra i elementi del programma di sviluppo chiamato "Plan S", mentre pochi mesi dopo, nel corso digitale Kia Sustainability Movement, è stata dichiarata esplicitamente l'ambizione del marchio di trasformarsi in un "Sustainable Mobility Solutions Provider".
Stesso obiettivo focalizzato da Toyota, che nel 2020 ha evoluto e ampliato il suo servizio Fleet Mobility creando il nuovo marchio Kinto, definito "un ulteriore passo nel percorso di evoluzione del Gruppo Toyota in Mobility Company", da Renault con la creazione di Mobilize e via dicendo.
Ci sono poi brand appena nati come Lynk & Co., appartenente all'universo Geely (il Gruppo cinese che controlla anche, tra le altre, Volvo e Lotus), che si propone come la Netflix dell'auto, con formule di noleggio mensile rinnovabili di mese in mese e la possibilità, tramite app, di mettere l'auto a disposizione di altri utenti, dando così vita a un car sharing tra privati.

Condividere sarà necessario
La trasformazione non è direttamente figlia della transizione elettrica, ma ne ha certamente tratto una spinta decisiva: se prima, infatti, si guardava alla mobilità condivisa come risposta al cambiamento dei gusti e degli orientamenti della clientela, soprattutto quella più giovane, oggi con i costi dell'elettrificazione l'acquisto dell'auto rischia di diventare proibitivo per una fetta non trascurabile di potenziali clienti che possono però essere trasformati in utilizzatori.
La vera domanda, tuttavia, è come cambierà l'approccio delle Case stesse verso i propri prodotti, perché se prima la priorità era creare beni di consumo che il pubblico ambisse a possedere, la prospettiva di avere meno acquirenti ma una platea molto più ampia di utenti potrebbe anche rafforzare il bisogno di rendere la propria offerta desiderabile in un panorama in cui le offerte e i servizi potrebbero alla fine trovarsi a essere molto simili.
Dunque l'evoluzione in provider di mobilità non dovrà necessariamente annacquare l'identità dei costruttori ma potrebbe addirittura finire per rafforzarla.