I lavori per sostenere l’industria dell’auto sono in corso, con il Governo che sta perfezionando il piano da 8,7 miliardi di euro complessivi da investire fino al 2030. Ma il percorso per accompagnare il settore nella transizione non è visto allo stesso modo tra i membri dell’esecutivo.

Le differenze sono emerse durante “Agorà democratiche – Una strategia per l’automotive”, evento online ospitato dal segretario nazionale del Partito democratico, Enrico Letta, in cui sono intervenuti Giancarlo Giorgetti e Andrea Orlando, ministri rispettivamente dello Sviluppo economico e del Lavoro.

Puntare sui biocarburanti

“Dobbiamo accettare i target internazionali che ci siamo dati – spiega il titolare del Mise –, ma questi vanno calati nella realtà dell’industria, perché non possiamo accettare che venga colpita da conseguenze sociali devastanti”.

“Un veicolo ambientalmente compatibile – sostiene Giorgetti – non deve essere un bene di lusso, ma ad accessibilità diffusa”. La proposta del suo Ministero è di “privilegiare ciò che viene prodotto in Italia”. Una scelta che il ministro rivendica “senza pudore”, perché “se lo Stato mette a disposizione risorse importanti, si deve valorizzare ciò che è italiano, non ciò che è prodotto all’estero”.

Da questo punto di vista, Giorgetti invita Stellantis a “continuare a credere nella produzione in Italia”. È un “imperativo non facile”, ma su cui il Governo è al lavoro. Ecco perché “in settimana c’è stato un tavolo al Mise per discutere sul piano industriale che riguarda gli insediamenti del gruppo in Italia”.

Il responsabile dello Sviluppo economico ricorda che il nostro Paese non ha firmato il patto sulla mobilità alla Cop26, perché non condivide l’idea della “ineluttabilità dell’auto elettrica come unica soluzione tecnologicamente compatibile con l’ambiente”.

BMW M5 E28, il motore 6 cilindri

Lui, come membro dell’esecutivo, è invece un “convinto sostenitore della neutralità tecnologica” e rivendica “il diritto dell’industria e della scienza italiana di vedere riconosciuti i biocarburanti come fonte compatibile (con l’ambiente, ndr) a livello europeo”. Per il futuro, dovremmo quindi immaginare “un percorso verso tante strade, non destinato solo a chi può permettersi l’auto elettrica”. Ed è quello che Palazzo Chigi sta facendo.

Nessuna alternativa all’elettrico

Ma non la pensa esattamente allo stesso modo il ministro Orlando, secondo il quale “non dobbiamo usare una prospettiva di retroguardia”, così come “non è giusto coltivare un’idea alternativa all’elettrico finché non c’è”.

“Se domani – continua – si scopre che si può andare a idrogeno o con biocarburanti senza emissioni, andrà benissimo”. Ma al momento questa possibilità “non c’è”, perché tutti i grandi costruttori, compreso Stellantis, vedono nell’elettrico la risposta alla transizione”.

Già ora il Paese sta pagando il fatto che “il principale player è stato su una linea di retroguardia rispetto all’elettrico”. Perciò, se “tutti pagano un prezzo”, noi lo paghiamo “più alto, perché è stata fatta una scelta di politica industriale che abbiamo assecondato e sostenuto”.

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Come ridurre il conto? La proposta dell’Italia e della Spagna è di trasformare il fondo europeo “Sure” da strumento di sostegno emergenziale a fondo strutturale per sostenere gli Stati durante la transizione, così da ripartire il peso “sperequato” a danno dei Paesi che hanno un’industria manifatturiera forte.

È anche così che i ministri cercano di rassicurare i sindacati che hanno partecipato e preceduto i loro interventi, preoccupati dagli effetti della transizione, tra posti di lavoro, energia da produrre e colonnine di ricarica da installare. Per questo chiedono un piano strutturale.