La sua ultima foto su Linkedin lo ritrae pronto per le vacanze al fianco dell'ID.Buzz, l'erede elettrico del Bulli presentato poche settimane fa. Quell'elettrico sul quale Herbert Diess ha puntato tutto, per portare il Gruppo Volkswagen il più lontano possibile da quel pantano chiamato Dieselgate, il cui scoppio a settembre 2015 ha avuto ripercussioni pesantissime sul colosso di Wolfsburg, guidato dal dirigente bavarese da aprile 2018.
Da quel momento l'elettrico ha rappresentato per Diess e per tutto il Gruppo l'obiettivo principale. Anzi, l'unico obiettivo da raggiungere, con un "all-in" che, alla fine, non ha pagato. E a rimetterci più di tutti è proprio chi il banco lo voleva far saltare: da settembre Herbert Diess non sarà più alla guida del Gruppo Volkswagen e al suo posto ci sarà Oliver Blume, attuale numero uno di Porsche.
Una decisione presa, pare, all'unanimità dal consiglio di amministrazione - sotto pressione della famiglia Porsche-Piech, azionista di maggioranza del Gruppo - e comunicata con appena 2 giorni di anticipo al diretto interessato. Ma perché questo addio forzato? Ecco quello che sta emergendo in queste ore, con le varie voci riportate da numerose testate.
Il nodo sindacati
Un addio che, a dirla tutta, era già nell'aria e che si sarebbe potuto consumare già a fine 2021, apice dello scontro tra Herbert Diess e Daniela Cavallo, da maggio 2021 presidente del General and Group Works Councils del gruppo Volkswagen, cioè del consiglio di fabbrica che rappresenta oltre 662 mila lavoratori del colosso automobilistico tedesco. Scontro nato a causa delle parole di Diess che a novembre 2021 aveva parlato degli esuberi all'interno del Gruppo, indicando anche una cifra ben precisa: 30.000 lavoratori di troppo.
Apriti cielo: convocazione del Consiglio di Sorveglianza e Diess salvato in calcio d'angolo, ma con nuovi ruoli: responsabile dei marchi di "volume" e della divisione software Cariad. Quella Cariad individuata da molti analisti, alcuni dei quali citati dal Financial Times, come altra causa del licenziamento.

L'elettrico non spinge la Cina
Dell'all in sull'auto elettrica abbiamo già parlato, con il lancio della piattaforma modulare MEB e dei vari modelli basati su di essa come le Volkswagen ID.3, ID.4, ID.5 e ID.Buzz, Audi Q4 e-tron e le Skoda Enyaq ed Enyaq Coupé. Un antipasto di quello che verrà, ma non sufficiente a conquistare il mercato cinese.
Come riportato dal Financial Times infatti Daniela Cavallo (ancora lei) poco tempo fa ha sottolineato le scarse prestazioni del Gruppo in Cina, per decenni motore della crescita del colosso tedesco e gran lunga il suo mercato più grande e redditizio. La famiglia ID non ha performato come sperato, in parte - secondo Cavallo - a causa dell'incapacità di soddisfare le preferenze dei consumatori locali, come la presenza della funzione karaoke (si, karaoke).
Ma c'è di più: il puntare tutto sull'elettrico e non lasciare quindi spazio ad altre soluzioni - in ossequio alla neutralità tecnologica - non ha aiutato il manager bavarese. Specialmente in una nazione come la Germania che, al pari dell'Italia, è tutt'altro che entusiasta per lo stop ai motori endotermici imposto dall'Unione Europea.
Il problema del software
Si ritorna poi a Cariad, divisione software del Gruppo responsabile dello sviluppo del "cervello" delle future auto elettriche. Ancora una volta Cavallo ha attaccato Diess dandogli la responsabilità diretta dei malfunzionamenti che - secondo numerosi rumors - avrebbero costretto Audi e Porsche ad adottare software sviluppati internamenti e ritardare il lancio di alcuni modelli di nuova generazione.

Secondo Automobilwoche così il lancio della futura ammiraglia Audi è slittato dal 2024 al 2027, la Porsche Macan elettrica da fine 2022 a fine 2023 e quello dell'ammiraglia Volkswagen - figlia del progetto Trinity - dal 2026 al 2027. Ritardi su ritardi a picchiare chiodi sulla bara professionale di Diess.
Le gaffe
C'è poi la questione degli interventi pubblici: certo, una battuta uscita male non può certo essere presa da sola come motivo per licenziare qualcuno, ma se questo "qualcuno" è il numero uno del secondo Gruppo automobilisto mondiale e durante un evento se ne esce con la frase "EBIT macht frei" (a richiamare il triste "Arbeit macht frei" inciso sugli ingressi dei campi di concentramento nazisti), forse qualche dubbio può sorgere.
Si tratta di una delle numerose gaffe di Diess, seguita dalla proposta di trattare con la Russia dopo l'invasione dell'Ucraina (andando contro le decisioni dell'Unione Europea).
E ora?
Diess manterrà il proprio posto di lavoro fino al 31 agosto 2022, dal primo settembre potrà scegliere se andare in pensione (ha spento 63 candeline) o se continuare con le classiche "nuove sfide professionali". Se optasse per questa seconda ipotesi dove potrebbe andare?
Diciamo che di indizi ce ne sono e portano tutti a una sola conclusione: Tesla. L'ammirazione del manager tedesco per Elon Musk - chiamato mesi fa a parlare in occasione di un incontro con manager VW - e la sua creatura non è certo un mistero e anzi, è stata l'ennesima pietra dello scandalo che ha suscitato le ire di Cavallo, dopo l'uscita di Diess "Volkswagen impiega 30 ore per produrre un'auto elettrica, Tesla 10".

Quella Tesla più volte lodata e che Diess (parlando in privato) sperava facesse sorgere la propria fabbrica tedesca 100 km più vicina a Wolfsburg.
E quel Musk che nel 2015 provò ad assumere Diess come CEO di Tesla, salvo poi vederlo accasarsi in Volkswagen. Ora, a 7 anni di distanza e con l'elettrico sempre più presente sui mercati di mezzo mondo, quell'assunzione rimandata potrebbe diventare realtà.
Fonte: Financial Times